Raccolta di poesie famose
da:
Wislawa Szymborska
Foglietto
illustrativo
Sono un
tranquillante,
Agisco in casa,
funziono in ufficio,
affronto gli esami,
mi presento
all'udienza,
incollo con cura le
tazze rotte -
devi solo prendermi,
farmi sciogliere
sotto la lingua,
devi solo mandarmi
giù
con un sorso d'acqua.
So come trattare
l'infelicità,
come sopportare una
cattiva notizia,
ridurre
l'ingiustizia,
rischiarare l'assenza
di Dio,
scegliere un bel
cappellino da lutto.
Che cosa aspetti -
fidati della pietà
chimica.
Sei un uomo (una
donna) ancora giovane,
dovresti sistemarti
in qualche modo.
Chi ha detto che la
vita va vissuta con coraggio?
Consegnami il tuo
abisso -
lo imbottirò di
sonno.
Mi sarai grato
(grata) per la caduta in piedi.
Vendimi la tua anima.
Un altro acquirente
non capiterà.
Un altro diavolo non
c'è più.
Il gatto in un
appartamento vuoto
Morire - questo a un
gatto non si fa.
Perché cosa può fare
un gatto
in un appartamento
vuoto?
Arrampicarsi sulle
pareti.
Strofinarsi tra i
mobili.
Qui niente sembra
cambiato,
eppure tutto è
mutato.
Niente sembra
spostato,
eppure tutto è fuori
posto.
E la sera la lampada
non brilla più.
Si sentono passi
sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che
mette il pesce nel piattino
non è quella di
prima.
Qualcosa qui non
comincia
alla solita ora.
Qualcosa qui non
accade
come dovrebbe.
Qui c'era qualcuno,
c'era
poi d'un tratto è
scomparso
e si ostina a non
esserci.
In ogni armadio si è
guardato.
Sui ripiani si è
corso.
Sotto il tappeto si è
controllato.
Si è perfino infranto
il divieto
di sparpagliare le
carte.
Che altro si può
fare.
Aspettare e dormire.
Che lui provi solo a
tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora
che con un gatto così
non si fa.
Gli si andrà incontro
come se proprio non
se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto
offese.
E all'inizio niente
salti né squittii.
***
Charles Bukowsky
E così vorresti fare
lo scrittore
E così vorresti fare lo scrittore?
Se non ti esplode
dentro
a dispetto di tutto,
non farlo
a meno che non ti
venga dritto
dal cuore e dalla
mente e dalla bocca
e dalle viscere,
non farlo.
se devi startene
seduto per ore
a fissare lo schermo
del computer
o curvo sulla
macchina da scrivere
alla ricerca delle
parole,
non farlo.
se lo fai solo per
soldi o per fama,
non farlo
se lo fai perchè vuoi
delle donne nel
letto,
non farlo.
Se devi startene lì a
scrivere e
riscrivere,
non farlo.
se è già una fatica
il solo pensiero di farlo,
non farlo.
se stai cercando di
scrivere come qualcun altro,
lascia perdere.
se devi aspettare che
ti esca come un ruggito,
allora aspetta
pazientemente.
se non ti esce mai
come un ruggito,
fai qualcos'altro
se prima devi
leggerlo a tua moglie
o alla tua ragazza o
al tuo ragazzo
o ai tuoi genitori o
comunque a qualcuno,
non sei pronto.
non essere come tanti
scrittori,
non essere come tutte
quelle migliaia di
persone che si
definiscono scrittori,
non essere monotono o
noioso e
pretenzioso, non
farti consumare dall'autocompiacimento
le biblioteche del
mondo
hanno sbadigliato
fino ad addormentarsi
per tipi come te
non aggiungerti a
loro
non farlo
a meno che non ti
esca
dall'anima come un
razzo,
a meno che lo star
fermo
non ti porti alla
follia o
al suicidio o
all'omicidio,
non farlo
a meno che il sole
dentro di te stia
bruciandoti le
viscere,
non farlo.
quando sarà veramente
il momento,
e se sei
predestinato,
si farà da sè e
continuerà finchè tu morirai o morirà in te.
non c'è altro modo
e non c'è mai stato.
***
Emily.Dickinson
Sarei forse più sola
Sarei forse più sola
Senza la mia
solitudine.
Sono abituata al mio
destino.
Forse l’altra-la
pace-
Potrebbe spezzare il
buio
E riempire la stanza-
Troppo stretta per
contenere
Il suo sacramento.
La speranza non mi è
amica-
Come un’intrusa
potrebbe
Profanare questo
luogo di dolore-
Con la sua dolce
corte.
Potrebbe essere più
facile
Affondare - in vista
della terra-
Che giungere alla mia
limpida penisola
Per morire di
piacere.
***
Franco Fortini
A Vittorio Sereni
Come ci siamo allontanati.
Che cosa tetra e
bella.
Una volta mi dicesti
che ero un destino.
Ma siamo due destini.
Uno condanna l’altro.
Uno giustifica
l’altro.
Ma chi sarà a
condannare
o a giustificare
noi due?
***
Baudelaire
L’anima del vino
Dentro le bottiglie
cantava una sera l'anima del vino:
<< Uomo, caro
diseredato, eccoti un canto pieno
di luce e di
fraternità da questa prigione
di vetro e da sotto
le vermiglie ceralacche!
So quanta pena,
quanto sudore e quanto sole
cocente servono,
sulla collina ardente,
per mettermi al mondo
e donarmi l'anima;
ma non sarò ingrato
nè malefico,
perchè sento una
gioia immensa quando scendo
giù per la gola d'un
uomo affranto di fatica,
e il suo caldo petto
è una dolce tomba
dove sto meglio che
nelle mie fredde cantine.
Senti come echeggiano
i ritornelli delle domeniche?
Senti come bisbiglia
la speranza nel mio seno palpitante?
Vedrai come mi
esalterai e sarai contento
coi gomiti sul tavolo
e le maniche rimboccate!
Come accenderò lo
sguardo della tua donna rapita!
Come ridarò a tuo
figlio la sua forza e i suoi colori!
Come sarò per
quell'esile atleta della vita
l'olio che tempra i muscoli
dei lottatori!
Cadrò in te, ambrosia
vegetale,
prezioso grano sparso
dal Seminatore eterno,
perchè dal nostro
amore nasca la poesia
che come un raro
fiore s'alzerà verso Dio!>>
***
Umberto Saba
L’addio
Senz’addii m’hai
lasciato e senza pianti;
devo di ciò
accorarmi?
Tu non piangevi
perché avevi tanti,
tanti baci da darmi.
Durano sì certe
amorose intese
quanto una vita e
più.
Io so un amore che ha
durato un mese,
e vero amore fu.
Amai
Amai trite parole che
non uno
osava. M'incantò la
rima fiore
amore,
la più antica
difficile del mondo.
Amai la verità che
giace al fondo,
quasi un sogno
obliato, che il dolore
riscopre amica. Con
paura il cuore
le si accosta, che
più non l'abbandona.
Amo te che mi ascolti
e la mia buona
carta lasciata al
fine del mio gioco.
Donna
Quand'eri
giovinetta pungevi
come una mora di
macchia. Anche il piede
t'era un'arma, o
selvaggia.
Eri difficile a
prendere.
Ancora
giovane, ancora
sei bella. I segni
degli anni, quelli
del dolore, legano
l'anime nostre, una
ne fanno. E dietro
i capelli nerissimi
che avvolgo
alle mie dita, più
non temo il piccolo
bianco puntuto
orecchio demoniaco
Neve
Neve che turbini in
alto ed avvolgi
le cose di un tacito
manto,
una creatura di
pianto
vedo per te
sorridere, un baleno
di allegrezza che il
mesto viso illumini,
e agli occhi miei
come un tesoro scopri.
Neve che cadi
dll'alto e noi copri
coprici ancora,
all'infinito. Imbianca
la città con le case
e con le chiese,
il porto con le navi,
le distese
fei prati, i mari
agghiaccia; della terra
fa' -tu augusta e
pudica- un astro spento,
una gran pace di
morte. E che tale
essa rimanga un tempo
indeterminato
un lungo volgere
d'evi.
Il
risveglio,
pensa il risveglio,
noi due soli, in tanto
squallore.
In cielo
gli angeli con le
trombe, in cuore acute
dilaceranti
nostalgie, ridesti
vaghi ricordi, e
piangere d'amore.
La Capra
Ho parlato a una
capra.
Era sola sul prato,
era legata.
Sazia d'erba, bagnata
dalla pioggia,
belava.
Quell'uguale belato
era fraterno
al mio dolore. Ed io
risposi, prima
per celia, poi perché
il dolore è eterno,
ha una voce e non
varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra
solitaria.
In una capra dal viso
semita
sentiva querelarsi
ogni altro male,
ogni altra vita.
***
Robert Forst
“Il Cammino non
battuto”
Mi sono trovato
davanti a due
Sentieri che
divergevano in un bosco,
non potendo
percorrerli entrambi mi sono fermato
e ho guardato tanto
lontano quanto potei,
fino a dove
consentiva la sterpaglia.
Scelsi uno dei due
sentieri,
fu la scelta migliore
perché il mio
sentiero è coperto di erba
e pareva voler essere
calpestato
entrambi i sentieri
quella mattina erano
pieni di erba e
nessun passo li aveva percorsi.
Ho mantenuto la via
per un altro giorno
anche sapendo che
cammino porta cammino,
ho dubitato qualche
volta di aver sbagliato sentiero.
Vi dico ciò con un
sospiro.
In qualche posto, nei
secoli dei secoli,
due cammini
s’incrociarono in un bosco, e io …
io presi il meno
battuto …
e questo ha fatto la
differenza.
***
Giorgio Caproni
Perch'io
... perch’io, che
nella notte abito solo
anch’io, di notte,
strusciando un cerino
sul muro, accendo
cauto una candela
e riscrivo in
silenzio e a lungo il pianto
bianca nella mia
mente –apro una vela
timida nella tenebra,
e il pennino
che mi bagna la
mente...
strusciando che mi
scricchiola, anch’io scrivo.
Spiaggia di sera
Così sbiadito a
quest'ora
lo sguardo del mare,
che pare negli occhi
(macchie d'indaco
appena
celesti)
del bagnino che tira
in secco
Le barche.
Come una randa cade
l'ultimo lembo di
sole.
Di tante risa di
donne,
un pigro schiumare
bianco sull'alghe, e
un fresco
vento che sala il
viso
rimane.
***
Costantino Kavafis
Alba
Amore mio, nei vapori
d'un bar
all'alba, amore mio
che inverno
lungo e che brivido
attenderti ! Qua
dove il marmo nel
sangue è gelo, e sa
di rifresco anche
l'occhio, ora nell'ermo
rumore oltre la brina
io quale tram
sento, che apre e
richiude in eterno
le deserte sue porte?
... Amore, io ho fermo
il polso: e se il
bicchiere entro il fragore
sottile ha un
tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un'eco.
Ma tu, amore,
non dirmi, ora che in
vece tua già il sole
sgorga, non dirmi che
da quelle porte
qui, col tuo passo,
già attendo la morte!
Torna
Torna sovente e
prendimi,
torna e prendimi
amata sensazione
- quando il ricordo
del corpo si ridesta
e trascorre nel
sangue il desiderio antico;
quando labbra e pelle
rammentano,
e alle mani pare di
nuovo di toccare.
Torna sovente e
prendimi, la notte,
quando labbra e pelle
rammentano...
***
Jean Cocteau
Begli amanti
intrecciate i vostri nomi
Begli amanti
intrecciate i vostri nomi sulla sabbia
incideteli nella
corteccia o sul gesso dei muri
testimoniate begli
amanti l'inesauribile
fonte calda che corre
verso coppie future.
Fate come i re che
per rendersi eterni
scelgono l'orgoglio
del marmo
se l'inchiostro sfuma
e i marmi si spezzano
ci resterà la traccia
di un bacio.
Intrecciate i vostri
nomi come le vostre membra
scrivete non importa
dove la gloria del momento
e il solitario sulla
carta da parati delle camere
decifri il furore dei
vostri accoppiamenti.
***
Edna St. Vincent Millay
Io non ti do' il mio
amore
Io non ti dò il mio
amore come fanno
le altre ragazze, in
uno scrigno freddo
d'argento e perle, né
ricco di gemme
rosse e turchesi,
chiuso, senza chiave;
né in un nodo, e
nemmeno in un anello
lavorato alla moda,
con la scritta
"semper
fidelis", dove si nasconde
un'insidia che
ottenebra il cervello.
L'amore a mano
aperta, questo solo,
senza diademi,
chiaro, inoffensivo:
come se ti portassi
in un cappello
primule smosse, o
mele nella gonna,
e ti chiamassi al
modo dei bambini:
"Guarda che
cos'ho qui! Tutto per te".
***
Eugenio Montale
La vita in prosa
Il fatto è che la vita non si spiega
né con la biologia
né con la teologia.
La vita è molto lunga
anche quando è corta
come quella della farfalla -
la vita è sempre prodiga
anche quando la terra non produce nulla.
Furibonda è la lotta che si fa
per renderla inutile e impossibile.
Non resta che il pescaggio nell'inconscio
l'ultima farsa del nostro moribondo teatro.
Manderei ai lavori forzati o alla forca
chi la professa o la subisce. È chiaro che l'ignaro
è più che sufficiente per abbuiare il buio.
Ho sceso, dandoti il
braccio
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
***
Cesare Pavese
Il vino è triste
La fatica è sedersi senza farsi notare.
Tutto il resto poi viene da sè. Tre sorsate
e ritorna la voglia di pensarci da solo.
Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,
ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo
esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro
(l'uomo solo non può non pensare al lavoro)
ridiventa l'antico destino che è bello soffrire
per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano
a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.
Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire,
pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque
può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi.
Può sbucare una donna e distendersi in strada,
bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo
come un tempo una donna gemeva con lui.
Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire
e la vita non è che un ronzio di silenzio.
A spogliarlo, quest’uomo, si trovano membra sfinite
e del pelo brutale,
qua e là. Chi direbbe
che in quest’uomo
trascorrono tiepide vene
dove un tempo la vita
bruciava? Nessuno
crederebbe che un
tempo una donna abbia fatto carezze
su quel corpo e
baciato quel corpo, che trema,
e bagnato di lacrime,
adesso che l’uomo
giunto a casa a
dormire, non riesce, ma geme.
***
Alda Merini
Sono nata il 21 a
primavera
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
No, non chiudermi
ancora nel tuo abbraccio
No, non chiudermi ancora nel tuo abbraccio,
atterreresti in me questa alta vena
che mi inebria dall'oggi e mi matura.
Lasciamo alzare le mie forze al sole,
lascia che mi appassioni dei miei frutti,
lasciami lentamente delirare
e poi coglimi solo e primo e sempre
nelle notti invocato e nei tuoi lacci
amorosi tu atterrami sovente
come si prende una sventata agnella.
Non voglio
dimenticarti, amore
Non voglio dimenticarti, amore,
né accendere altre poesie:
ecco, lucciola arguta, dal risguardo dolce,
la poesia ti domanda
e bastava una inutile carezza
a capovolgere il mondo.
La strega segreta che ci ha guardato
ha carpito la nudità del terrore,
quella che prende tutti gli amanti
raccolti dentro un'ascia di ricordi.
I poeti lavorano di
notte
I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
***
Mark Strand
Mare nero
Una notte chiara, mentre gli altri dormivano, ho salito
le scale fino al tetto della casa e sotto un cielo
fitto di stelle ho scrutato il mare, la sua distesa,
il moto delle sue creste spazzate dal vento, divenire
come pezzi di trina gettati in aria. Sono rimasto nella
lunga
notte piena di sussurri, aspettando qualcosa, un segno,
l'avvicinarsi
di una luce lontana, e ho immaginato che tu venivi vicino,
le onde scure dei tuoi capelli mescolarsi col mare,
e l'oscurità è divenuta desiderio, e desiderio la luce che
approssimava.
La vicinanza, il calore momentaneo di te mentre rimanevo
su quell'altezza solitaria guardando il lento gonfiarsi del
mare
rompersi sulla riva e in breve mutare in vetro e
scomparire...
Perché ho creduto che saresti venuta uscita dal nulla?
Perché con tutto
quello che il mondo offre saresti venuta solo perché io ero
qui?
Dal lungo party triste
(da "The Late Hour")
Qualcuno stava dicendo
qualcosa riguardo ombre che coprono il campo, riguardo
lo scorrere dell'esistenza, di come ci si addormenti verso
il mattino
ed il mattino passi.
Qualcuno stava dicendo
di come il vento muoia ma poi ritorni,
di come le conchiglie siano le bare del vento
ma il tempo continui.
Era una lunga notte
e qualcuno disse qualcosa riguardo a come la luna perdeva il
suo
bianco
sul freddo campo, come non ci fosse nulla davanti a noi
oltre le solite cose.
Qualcuno menzionò
una citta in cui era stato prima della guerra, una stanza
con due
candele
contro un muro, qualcuno che danzava, qualcuno che guardava.
Cominciammo a credere
che la notte non avrebbe avuto termine.
Qualcuno stava dicendo che la musica era finita e nessuno
se n'era accorto.
Allora qualcuno disse qualcosa riguardo i pianeti, riguardo
le
stelle, di quanto fossero piccole, quanto fossero lontane.
Luna
Apri il libro della sera alla pagina
in cui la luna, sempre la luna, ancora appare
lì tra due nuvole, muovendosi piano, così piano che sembrerà
siano trascorse ore prima che possa voltare alla pagina
seguente
lì dove la luna, più luminosa ora, fa approdare un sentiero
che ti conduca via da ciò che hai appreso
dentro i luoghi in cui tutto quello che avevi sperato si
avvera,
la sua sillaba solitaria come un bisbiglio penzoloni
al margine del senso, ad aspettare che sia tu a pronunziarne
il nome
ancora una volta staccando lo sguardo dalla pagina
chiudendo il libro, ancora sentendolo così com’era
quel sospendersi nella sua luce, quell’inatteso paradiso del
suono.
***
Attilio Bertolucci
Portami con te
Portami con te nel mattino vivace
le reni rotte l'occhio sveglio appoggiato
al tuo fianco di donna che cammina
come fa l'amore,
sono gli ultimi giorni dell'inverno
a bagnarci le mani e i camini
fumano più del necessario in una
stagione così tiepida,
ma lascia che vadano in malora
economia e sobrietà,
si consumino le scorte
della città e della nazione
se il cielo offuscandosi, e poi
schiarendo per un sole più forte,
ci saremo trovati
là dove vita e morte hanno una sosta,
sfavilla il mezzogiorno, lamiera
che è azzurra ormai
senza residui e sopra
calmi uccelli camminano non volano.
***
Raimond Carver
La finestra
Stanotte è arrivato un temporale e ha fatto saltare
l'elettricità. Quando ho guardato fuori
dalla finestra, gli alberi erano traslucidi.
Curvi e ricoperti di brina. Una calma enorme
s'estendeva sull'intera campagna.
Pur sapendo che non era vero, in quel momento
avevo la sensazione di non aver mai fatto, in vita
mia, una falsa promessa né d'aver mai commesso
neanche un atto impuro. I miei pensieri
erano pieni di virtù. Più tardi, nella mattinata,
naturalmente, hanno riattaccato l'elettricità.
Il sole è uscito da dietro le nuvole
e ha sciolto la brinata.
E tutto è tornato come prima.
***
Shakespeare
sonetto 116
Non è amore quell'amore che muta
quando scopre mutamenti.
Non sarà al matrimonio di animi costanti
io ponga impedimenti: non è amore quell'amore
che muta quando scopre mutamenti
o tende a ritirarsi se l'altro si ritira.
Oh no, esso è un faro per sempre fisso
che guarda alle tempeste.
E mai è scosso:
è la stella polare per ogni nave errante,
e il suo valore resta ignoto,
anche se l'altezza ne sia presa.
L'amore non è lo zimbello del tempo,
anche se rosee labbra e guance
cadono nel compasso
della sua falce ricurva;
l'amore non muta
con le sue brevi ore e settimane,
ma resiste fino all'orlo del Giudizio.
Se questo è errore e mi sia provato,
io non ho mai scritto,
e nessuno ha mai amato.
***
Fernando Pessoa
Segui la tua sorte…
Segui la tua sorte,
annaffia le tue piante,
ama le tue rose.
Il resto è l'ombra
d'alberi stranieri.
La realtà
è sempre di più o di meno
di quello che vogliamo.
Solo noi siamo sempre
uguali a noi stessi.
Dolce è vivere solo.
Grande e nobile è sempre
vivere con semplicità.
Lascia il dolore sulle are
come offerta agli dei.
Guarda la vita da lontano,
e non interrogarla mai.
Nulla essa può
dirti. La risposta
è al di là degli dei.
Ma serenamente
imita l'Olimpo
nel segreto del tuo cuore.
Gli dei sono dei
perché non si pensano.
***
Martha Medeiros
Lentamente Muore
“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e chi non cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero sul bianco e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che
fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai
sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire
un sogno.
Lentamente muore chi non si permette almeno una volta nella
vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o
della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di
iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi
ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di
gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una
splendida felicità“.
***
Mario Benedetti, da Umana
Gloria:
Come dire che due
ragazzi camminano
sulla breve salita
e la notte cammina
in quel breve salire,
e in questo poco tempo noi siamo vivi,
erba, fiume laggiù
che mormori a tutto il vuoto e a me
l’eco del salire dei corpi?
Per un fratello
Nel viale penso che guardiamo insieme
ancora una volta dopo nostra madre i fiori.
Il tuo bambino è nato.
Alla distanza del telefono cellulare
hai la sua voce, tra la natura delle macchine
ripiegata nel poco universo, nel poco correre,
con gli uomini nei sedili a imitarla.
Obliquamente, dopo un tetto uno alto
Con la fronte di luce dietro,
del sole incendiato sul parco, come un’origine,
uno squillo a parlare ancora in confidenza.
Mentre ci sentiamo come dopo,
con i piedi impacciati, la presenza stralunata. A brevi
scatti
si fa sera e densa come fosse una nuova cosa
dove le nostre voci, la nostra, gioia, i nostri corpi…
E’ settembre questa luce, vale tanto dirlo
Nel pomeriggio che non è stato di nessuno, senza sosta
caldo.
Il giorno che si apriva ad aiutare,
il vino che si dava, come qualcosa del giorno per farlo di
più.
Ma tante cose che non riempiono la strada
Sono nascoste da qualche parte come a soffrire.
Vorrei fino a dicembre conservare il taccuino del babbo,
con le cinquecento lire di carta,
tenerlo il venerdì tra i tanti soldi del mercato e tutta
quella frutta.
Vorrei dire ancora la tosse e il freddo in quella camera
larga,
e la piccola sedia vicino alla cucina economica,
la piccola sedia sotto il corpo del babbo.
Lasciano il tempo e
li guardiamo dormire,
si decompongono e il cielo e la terra li disperdono.
Non abbiamo creduto che fosse così:
ogni cosa e il suo posto,
le alopecie sui crani, l’assottigliarsi, avere male,
sempre un posto da vivi.
Ma questo dissolversi no, e lasciare dolore
Su ogni cosa guardata, toccata.
Qui durano i libri.
Qui ho lo sguardo che ama il qualunque viso,
le erbe, i mari, le città.
Solo qui sono, nel tempo mostrato, per disperdermi.
***
Poesie di Amelia Rosselli, da Documento 1966-1973:
La notte era una splendida canna di giunco
i suoi provvisori accecamenti erano di giunco
i suoi averi scappavano dalle mie mani
le sue filantropie erano di giunco.
Oh potessi avere la leggerezza della prosa
o di quel inverno che fu così ben racchiuso
fra i tetti impiantati: questa strada d'inverno
è come se qualcuno l'avesse saccheggiata.
Oh potessi realizzare le rissa degli angioli
indovinati fra le colonne vertebrate, così
come la strada precipita senza segno, senso
per un vuoto putiferio per un mistico
soliloquio.
Ossigeno nelle mie tende, sei tu, a
graffiare la mia porta d’entrata, a
guarire il mio misterioso non andare
non potere andare in alcun modo con
gli altri. Come fai? Mi sorvegli e
nel passo che ci congiunge v’è soprattutto
quintessenza di Dio; il suo farneticare
se non proprio amore qualcosa di più
grande: il tuo corpo la tua mente e
i tuoi muscoli tutti affaticati: da
un messaggio che restò lì nel vuoto
come se ad ombra non portasse messaggio
augurale l’inquilino che sono io: tua
figlia, in una foresta pietrificata.
Un mare blu blu blu blu blu, anche verde
Sottile lampo e il verde s’accende a
volte e v’è giallo il muro di biscotto
e v’è una duna per i tuoi piedi.
Biondo il muro i tuoi occhi
e non v’è quasi furberia rimasta nel lasciarsi
perdere nel vento acuto che smorza l’incesto
in causa.
E causa è, e causa non è non v’è terreno
dove non passi l’ottusa mente stancata.
Tua presenza è chiodo infisso e valanghe
di giuramenti non ti tengono a posto:
ruote libere hanno danneggiato il meccanismo
della mia libertà.
***
Federico García Lorca
Io pronuncio il tuo
nome
Io pronuncio il tuo nome
nelle notti oscure,
quando giungono gli
astri
a bere nella luna,
e dormono i rami
delle fronde occulte.
Ed io mi sento vuoto
di passione e di
musica.
Folle orologio che
canta
antiche ore defunte
Io pronuncio il tuo nome
in questa notte
oscura,
e il tuo nome mi
suona
più lontano che mai.
Più lontano di tutte
le stelle
e più dolente della
mite pioggia.
Ti amerò come allora
qualche volta? Che
colpa
ha commesso il mio
cuore?
Se la nebbia si
scioglie
quale nuova passione
mi aspetta?
Sarà tranquilla e
pura?
Se potessi sfogliare
con le dita la luna!!
***
LIRICHE
CINESI
Ballata di
Magnolia
Tsi-tsi davanti alla porta Magnolia tesse;
a un tratto cessa il rumore della spoletta.
Non s’odono più che i sospiri della fanciulla;
gli chiedono: “A che pensi? Di che ti sovvieni?”
“Non penso a nessuno; non mi sovvengo di nulla;
Ier sera ho letto il comunicato ufficiale.
C’era la grande chiamata alle armi del Khan:
Il nome del babbo appariva dodici volte.
Il babbo non ha figli maschi in età di partire;
E io non ho fratelli più grandi di me.
Voglio comperare un cavallo e una bardatura,
e voglio andare al posto del babbo alla guerra”.
Al mercato dell’Est compera un buon cavallo
Al mercato dell’Ovest si prende una lucida sella,
morsi, briglie e testiera alla fiera del Sud,
e alla fiera del Nord acquista un lungo frustino.
Quella mattina lascia i suoi genitori,
la sera si ferma alla riva del Fiume Giallo.
Non ode più la madre e il padre che chiamano
Ma solo le onde del fiume che frusciano e passano.
L’indomani mattina riprende il lungo viaggio,
al tramonto arriva alla grande Montagna Nera.
Là pur la voce dei suoi non la può raggiugere,
e solamente il cavalli degli Unni nitriscono
malinconici ai piedi del monte Yen.
Fa mille miglia per arrivare al Comando;
i monti e i forti sfilano come in volo.
Risuona la verga metallica delle guardie
nell’aria fredda del Nord,
sull’armatura di mille e mille soldati
i raggi glaciali si specchiano…
Il generale morì dopo cento battaglie;
ma l’eroina ritornò trionfante
dopo d’aver passato dieci anni sul campo.
Tornata, stette dinanzi all’Imperatore
che l’attendeva nella Sala d’Udienza
per comprendere tutte le sue prodezze
si sarebbe dovuto promuoverla dodici gradi.
E per pagarla cento, mille lingotti
E anche più non sarebbero bastevoli.
Allora il Khan le chiede il suo desiderio:
Magnolia non vuole diventare Ministro;
“Ma spero mi darete un forte cammello
per ritornare al mio paese natale”.
Quando seppero che arrivava la figlia
I genitori felici, l’un contro l’altro
appoggiati attendevano fuori città.
La sorella maggiore si adorna vezzosamente,
il fratello minore uccide il porco e il montone
per festeggiare il ritorno della sorella.
“Riapro la porta del piano di Levante,
mi siedo sul letto della mia stanza a Ponente;
e disfo finalmente la mia armatura,
e i rimetto il mio vestito d’un tempo”.
Alla finestra stringe i capelli in un nodo
Denso come una nuvola
- innanzi allo specchio
si aggiusta il fiorellino artificiale
e si tinge la fronte lievemente di giallo.
Poi esce a vedere i suoi compagni di guerra:
costoro gridano tutti insieme stupiti –
“Per dodici anni abbiamo vissuto insieme
senza sapere che Magnolia fosse fanciulla!
Il coniglio maschio s’acquatta trattando in terra,
la coniglia si guarda attorno con occhi vaghi;
ma quando entrambi corrono a fior di terra
chi sa distinguere tra la coniglia e il coniglio?
Questo poemetto è una composizione anonima risalente il VI
secolo d.C.
Magnolia (Mou-lan) visse realmente, pare, nello Sciantung,
verso il VI secolo. Probabilmente tartara di origine, divenne nella leggenda
una specie di Giovanna d’Arco cinese.
Il vento della valle
Vivendo ritirato di là dal mondo,
godendomi in silenzio l’isolamento,
stringo di più la corda della mia porta,
tappo la mia finestra con bulbi e felci.
L’animo mio si intona alla primavera,
al finire dell’anno ho l’autunno in cuore.
Così, copiando i mutamenti cosmici
la mia casa diventa un Universo.
Lu Yun è vissuto nel IV secolo d. C. in quella che viene
definita “età di transizione” (220-618 d.C.) perché caratterizzata da
innumerevoli dinastie di breve durata.
Il quindicesimo
volume
(Avendo completato il quindicesimo volume delle sue opere il
poeta Po Chu-i, 772-846 d.C., lo manda agli amici Yuan Chen e Li Chien con
questo poema scherzoso di introduzione)
Il mio lungo poema Eterno Pianto
e’ un
lavoro assai bello e commuovente;
le mie dieci Canzoni Di Schen-si
sono veri
modelli d’armonia.
Io non posso impedire al vecchio Yuan
di rubare
le mie rime migliori,
ma prego tanto il mio piccolo Li
di
rispettare i canti e le ballate.
Finché vivo gli onori e le ricchezze
non faran
parte mai del mio destino;
ma so bene che quando sarò morto
la fama
dei miei libri durerà.
Queste parole oziose e questi frivoli
vanti,
amici, per oggi perdonatemi:
ho aggiunto ora il volume quindicesimo
alla fila
che porta il nome mio.
La caratteristica della poesia di Po Chu-i è la sua
semplicità. Pare che avesse l’abitudine di leggere le sue poesie a una vecchia
contadina, alterando tutte le espressioni che costei non riusciva a capire. Le
sue idee sull’arte erano quelle di Confucio, e criticava molte poesie dei suoi
predecessori perché mancanti di feng e di ya. Feng significa “critica dei
governanti” e ya “guida morale del popolo”, due compiti fondamentali dell’arte
secondo Confucio.
Per la nascita del
suo bambino
Ogni famiglia, quando nasce un bimbo
lo vuole intelligente;
io coll’intelligenza
ho rovinato tutta la mia vita;
spero solo che il bimbo si dimostri
stupido e ignorante;
coronerà così una vita placida
diventando Ministro.
Sou Che visse sotto i Sung (960-1278 d.C.). Erano molto in
voga il tzu o piccolo poema musicale squisitamente cesellato. I toni
(inflessioni della voce che sono una specialità della lingua cinese) vi son
disposti in tal modo che anche recitati e senza accompagnamento questi poemetti
hanno un suono musicale.
Materiale tratto da:
Liriche Cinesi
(1753 a.C. – 1278 d.C.)
a cura di Giorgia Valensin
Prefazione di Eugenio Montale.
***
Patrizia Cavalli
da: “Sempre Aperto Teatro”
Se ora tu bussassi
alla mia porta
e ti togliessi gli
occhiali
e io togliessi i miei
che sono uguali
e poi tu entrassi
dentro la mia bocca
senza temere baci
disuguali
e mi dicessi: «Amore
mio,
ma che è successo? »,
sarebbe un pezzo
di teatro di
successo.
***
L’amore non è certo
un sentimento
ma è quell’ossessivo
ragionare
sul mistero del
nostro apprendimento.
Apprendo la tua
faccia e la mantengo
ma poi la perdo in un
istante e la riprendo,
aggiungo e tolgo, mi
accorgo
di ogni cambiamento,
funambolo pensiero
sempre sul punto di
cadere
-amore non sostiene.
Perché sia fermo il
tempo
sciupando ogni mia
forza
mi attardo al
firmamento
e lo conservo, in
quella grande volta
mi raccolgo,
nerissima stella lontana
fissa qui nel mio
grembo sempre
io per averla mi
sogno miliardaria.
La notte mi ha
lasciato un batticuore,
comincia il mio
spettacolo: oggi sarà paura
e tempo lungo, il
pendolo del sangue fa le doppie.
Come morta, meno che
morta,
più che morta.
Vivente
a due passi,
scomparsa
ai miei occhi. Dio
degli incontri,
ritornami amico!
***
Emily
Dickinson
Sono più miti le
mattine
Sono più miti le
mattine
E più scure diventano
le noci
E le bacche hanno un
viso più rotondo,
La rosa non è più
nella città.
L'acero indossa una
sciarpa più gaia,
E la campagna una
gonna scarlatta.
Ed anch'io, per non
essere antiquata,
Mi metterò un
gioiello.
Quando conto i semi
Quando conto i semi
Sparsi sotto terra
Che poi fioriranno ‒
Quando penso a tanti
Che giacciono là
sotto
E che saranno accolti
in alto ‒
E quando credo nel
giardino
Che i mortali non
vedono,
Quando colgo i suoi
fiori con la fede
E ne scanso le api,
So allora rinunziare
a quest'estate
Senza rimpianto.
***
Giorgio Manganelli
"Scrivi,
scrivi"
I
Scrivi, scrivi;
se soffri, adopera il tuo dolore:
prendilo in mano, toccalo,
maneggialo come un mattone,
un martello, un chiodo,
una corda, una lama;
un utensile, insomma.
Se sei pazzo, come certamente sei,
usa la tua pazzia: i fantasmi
che affollano la tua strada
usali come piume per farne materassi;
o come lenzuoli pregiati
per notti d’amore;
o come bandiere di sterminati
reggimenti di bersaglieri.
II
Usa le allucinazioni: un
ectoplasma serve ad illuminare
un cerchio del tavolo di legno
quanto basta per scrivere una cosa egregia -
usa le elettriche fulgurazioni
di una mente malata
cuoci il tuo cibo sul fuoco del tuo cuore
insaporiscilo della tua anima piagata
l’insalata, il tuo vino
rosso come sangue, o bianco
come la linfa d’una pianta tagliata e moribonda.
III
Usa la tua morte: la gentilezza
grafica gotica dei tuoi vermi,
le pause elette del nulla
che scandiscono le tue parole
rantolanti e cerimoniose;
usa il sudario, usa i candelabri,
e delle litanie puoi fare
un bordone alla melodia - improbabile -
delle sfere.
IV
Usa il tuo inferno totale:
scalda i moncherini del tuo nulla;
gela i tuoi ardori genitali;
con l’unghia scrivi sul tuo nulla:
a capo.
***
Aldo Palazzeschi
Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
"malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
"nostalgia".
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.
Rio Bo
Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: Rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però...
c'è sempre disopra una stella,
una grande magnifica stella,
che a un dipresso...
occheggia con la punta del cipresso
di Rio Bo.
Una stella innamorata?
Chi sa
se nemmeno ce l'ha
una grande città.
***
Eugenio Montale
Arsenio
I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l'ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
Discendi all'orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d'essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
il viluppo dell'alghe: quell'istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d'una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d'immobilità...
Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch'è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s'arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso
Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, -
e fuori, dove un'ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l'acetilene -
finchè goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s'afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
Cosí sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sè trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell'onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
(da Ossi di seppia)
***
Paul Eluard
La curva dei tuoi
occhi intorno al cuore
La curva dei tuoi
occhi intorno al cuore
ruota un moto di
danza e di dolcezza,
aureola di tempo,
arca notturna e fida
e se non so più
quello che ho vissuto
è perchè non sempre i
tuoi occhi mi hanno visto.
Foglie di luce e
spuma di rugiada
canne del vento, risa
profumate,
ali che il mondo
coprono di luce,
navi che il cielo
recano ed il mare,
caccia dei suoni e
fonti dei colori,
profumi schiusi da
una cova di aurore
sempre posata su
paglia degli astri,
come il giorno vive
di innocenza,
così il mondo vive
dei tuoi occhi puri
e va tutto il mio
sangue in quegli sguardi.
***
Gianni D'Elia
Per una ballata
italiana
da "Notte Privata"
O questa mostra gente
che tutto sa di
niente,
questa grandeur
abbiente
abominevolmente...
O quelli che dai
mattoni
edificano le teste,
e con le televisioni,
palloni
le idiotizzano in
resse...
O questa nuova gente
in ascesa da oscuri
poteri innominati,
spuri
dello spreco
affluente...
"No Woman No
Cry"
da "Notte Privata"
Oh, non più di te
ricordare, del tuo
tepore di inganni
morti, gridando
guidato fino alla
inconscia casa,
di cui dette notizia
una rea strada...
Se era una della
specie, per cui uno
stesso della specie
si perde come tutti
disperammo il nostro
essere una volta
nella vita traditi in
altro cuore...
E quell'andare
strappato, sulla picca
di un cancello
scavalcato fu il dolore,
se non deve poi
chiudersi ogni ardore
per vedere nell'amore
quanto male...
***
Alfonso Gatto
Natale al caffè
Florian
La nebbia rosa
e l'aria dei freddi
vapori
arrugginiti con la
sera
il fischio del
battello che sparve
nel largo delle
campane.
Un triste davanzale,
Venezia che abbruna
le rose
sul grande canale.
Cadute le stelle,
cadute le rose
nel vento che porta
il Natale.
Inverno a Roma
I bambini che pensano
negli occhi
hanno l' inverno, il
lungo inverno. Soli
s' appoggiano ai
ginocchi per vedere
dentro lo sguardo
illuminarsi il sole.
Di là da sé, nel
cielo, le bambine
ai fili luminosi
della pioggia
si toccano i capelli,
vanno sole
ridendo con le labbra
screpolate.
Son passate nei
secoli parole
d' amore e di pietà,
ma le bambine
stringendo lo
scialletto vanno sole
sole nel cielo e
nella pioggia. Il tetto
gocciola sugli
uccelli della gronda.
***
Mario Luzi
La notte lava la mente.
Poco dopo si è qui
come sai bene,
file d'anime lungo la
cornice,
chi pronto al balzo,
chi quasi in catene.
Qualcuno sulla pagina
del mare
traccia un segno di
vita, figge un punto.
Raramente qualche
gabbiano appare.
Quando mi parli al telefono
Quando mi parli al
telefono
e mi s'aprono
d'incanto i paradisi
della vocalità -
gli accordi
e i tocchi d'arpa
soffici
appena subsquillanti
di quella voce dai
precordi sono
tuoi, sì, ma intanto
è il calmo pelago
della muliebrità
che entra
festosamente
ruscellando
nel mattino della
stanza
e mi dilava da me,
si porta via la mia
nascita,
mi cancella dalla mia
morte
lasciandomi
sospeso...
è o non è
chi? me stesso
ed il mio ascolto -
le dicono da tempo
i suoi interlocutori
uomini o angeli.
***
Franco Loi
Forsi û tremâ cume de
giass fa i stèll
Forsi û tremâ cume de
giass fa i stèll,
no per el frègg, no
per la pagüra,
no del dulur,
legriâss o la speransa,
ma de quel nient che
passa per i ciel
e fiada sü la tèra
che rengrassia…
Forsi l’è stâ cume
che trèma el cör,
a tí, quan’ne la nott
va via la lüna,
o vegn matina e par
che ‘l ciar se mör
e l’è la vita che la
returna vita…
Forsi l’è stâ cume se
trèma insèm,
inscí, sensa savèl,
cume Diu vör…
Forse ho tremato come
di ghiaccio fanno le stelle
Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle,
no per il freddo, no
per la paura,
no del dolore, del
rallegrarsi o per la speranza,
ma di quel niente che
passa per i cieli
e fiata sulla terra
che ringrazia...
Forse è stato come
trema il cuore,
a te, quando nella
notte va via la luna,
o viene mattina e
pare che il chiarore si muoia
ed è la vita che
ritorna vita...
Forse è stato come si
trema insieme,
così, senza saperlo,
come Dio vuole...
***
Me piasaríss de mí
desmentegâss
da "Lünn" (1982)
Me piasaríss de mí
desmentegâss,
e camenà, e respirà
per tí,
vèss cume i fjö che
quand je branca el sû
se làssen sumenà due
el vör lü,
e mai truâss, e pü
capí de mí,
ma vèss giuius de
l’aria che me tira
due che la vita la se
pensa vîv.
Mi piacerebbe di me
dimenticarmi
Mi piacerebbe di me dimenticarmi,
e camminare, e
respirare per te,
essere come i ragazzi
che quando li prende il sole
si lasciano seminare
dove lui vuole,
e mai ritrovarsi, e
non più capire di me stesso,
ma essere gioioso
dell'aria che mi attira
là dove la vita si
pensa vivere.
***
Sèm poca roba, Diu,
sèm squasi nient
Sèm poca roba, Diu, sèm squasi nient,
forsi memoria sèm, un
buff de l’aria,
umbría di òmm che
passa, i noster gent,
forsi ‘l record d’una
quaj vita spersa,
un tron che de luntan
el ghe reciàma,
la furma che sarà
d’un’altra gent…
Ma cume fèm pietâ,
quanta cicoria,
e quanta vita se
porta el vent!
Andèm sensa savè,
cantand i gloria,
e a nüm de quèl che
serum resta nient.
Siamo poca roba, Dio,
siamo quasi niente
Siamo poca roba, Dio,
siamo quasi niente,
forse memoria siamo,
un soffio d'aria,
ombra degli uomini
che passano, i nostri parenti,
forse il ricordo
d'una qualche vita perduta,
un tuono che da
lontano ci richiama,
la forma che sarà di
altra progenie...
Ma come facciamo
pietà, quanto dolore,
e quanta vita se la
porta il vento!
Andiamo senza sapere,
cantando gli inni,
e a noi di ciò che eravamo
non è rimasto niente.
***
WISLAWA SZYMBORSKA
Amore a prima vista
Sono entrambi convinti
che un sentimento
improvviso li unì.
È bella una tale
certezza
ma l'incertezza è più
bella.
Non conoscendosi,
credono
che non sia mai
successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le
strade, le scale, i corridoi
dove da tempo
potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro
se non ricordano -
una volta un faccia a
faccia
in qualche porta
girevole?
uno "scusi"
nella ressa?
un "ha sbagliato
numero" nella cornetta?
- ma conosco la
risposta.
No, non ricordano.
Li stupirebbe molto
sapere
che già da parecchio
tempo
il caso giocava con
loro.
Non ancora pronto del
tutto
a mutarsi per loro in
destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la
strada
e soffocando una
risata
con un salto si
scansava.
Vi furono segni,
segnali,
che importa se
indecifrabili.
Forse tre anni fa
o lo scorso martedì
una fogliolina volò
via
da una spalla a
un'altra?
Qualcosa fu perduto e
qualcosa raccolto.
Chissà, forse già la
palla
tra i cespugli
dell'infanzia?
Vi furono maniglie e
campanelli
su cui anzitempo
un tocco si posava su
un tocco.
Valigie accostate nel
deposito bagagli.
Una notte, forse, lo
stesso sogno,
subito confuso al
risveglio.
Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli
eventi
è sempre aperto a
metà.
(da La fine e l'inizio, 1993)
***
Salvatore Toma
Quando sarò morto
che non vi venga in mente
di mettere manifesti:
morto serenamente
o dopo lunga sofferenza
o peggio ancora in grazia di dio.
Io sono morto
per la vostra presenza
( Canzoniere della Morte)
Fiaba logica
C’era una volta una ragazza
che si chiamava Cenerentola
e andava raccontando
che oggigiorno per sposarsi
non occorreva denaro e corredo
e tantomeno innamorarsi:
bastava perdere una scarpa!
Maria la volle imitare
e di scarpe ne perse una
(lo fece apposta)
ne perse due tre quattro cento
mille paia
ma di maschi nemmeno l’ombra!
Così pensò
di essere stata imbrogliata
presa in giro e non uscì più di casa
perché in paese di lei si rideva.
Ma Cenerentola diceva la verità
…se solo fossi stata capita!
Cara Maria
Se solo ti fossi adeguata ai tempi
e fatto meno domande cretine!
se invece di perdere le scarpe
avessi perso le mutande…
Il poeta è uno
scienziato
coi piedi sulla terra,
sulla luna c’è andato
da appena nato.
Il poeta è un uomo
un poco morto
e conosce cose orrende
chissà come
per questo ride di voi
di tutti voi.
E non morire mai
***
Boris Ryzhy
Una nave smaltata
L'oblò, il comodino, il letto.
Vivere è difficile e scomodo,
però è comodo morire.
Stò disteso e penso:
forse queste lenzuola bianche
hanno avvolto colui che oggi
se n'è andato all'altro mondo
Il rubinetto gocciola piano.
La vita scarmigliata come una puttana
appare dalla nebbia e vede
il letto, il comodino
Io cerco di sollevarmi un pò
Voglio guardarla negli occhi
Guardarla, mettermi a piangere
e non morire mai
Portami lungo viali
vuoti...
Portami lungo viali vuoti,
parlami di qualche sciocchezza,
pronuncia vagamente un nome.
I lampioni piangono l'estate.
Due lampioni piangono l'estate.
Cespugli di sorbo. Una panchina umida.
Amore mio, resta con me fino all'alba,
poi lasciami.
Rimasto come un'ombra offuscata,
vagherò qui ancora un po',ricorderò tutto,
la luce accecante, il buio infernale,
io stesso fra cinque minuti sparirò.
Non ho camminato nei
tuoi sogni...
Non ho camminato nei tuoi sogni,
nè mi sono mostrato in mezzo alla folla,
non sono apparso nel cortile
dove pioveva o meglio cominciava
a piovere (questo verso
lo cancello e non lo sostituirò),
era allettante credere, come uno stupido,
che ti avrei incontrato presto,
eri tu che mi apparivi in sogno
(e mi prendeva una dolce tenerezza),
mi sistemavi i capelli sulle tempie.
Quell'autunno perfino le poesie
in parte mi riuscivano bene
(però mancava sempre un verso o una rima
per essere felice).
***
Aldo Palazzeschi
E lasciatemi
divertire
Tri, tri tri
Fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu, ihu.
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto....
Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche,
Sono la mia passione.
Farafarafarafa,
Tarataratarata,
Paraparaparapa,
Laralaralarala!
Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la... spazzatura
delle altre poesie,
Bubububu,
fufufufu,
Friù!
Friù!
Se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?
Bilobilobiobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Chi sono?
Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
«follìa».
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non à che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
«malinconia».
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
«nostalgia».
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.
***
Jacques Prévert
In estate come in
inverno
In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l’uomo che ha l’acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Accanto a lui un imbecille
un signore che ne ha
tristemente pesca con la lenza
Egli non sa perché
vedendo passare una chiatta
la nostalgia lo afferra
Anch’egli vorrebbe partire
lontano lontano sull’acqua
e vivere una nuova vita
con un po’ di pancia in meno.
In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l’uomo che ha l’acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Il bravo pescatore con la lenza
torna a casa senza un sol pesce
Apre una scatoletta di sardine
e poi si mette a piangere
Capisce che dovrà morire
e che non ha mai amato
Sua moglie lo compatisce
con un sorriso ironico
È una ignobile megera
una ranocchia d’acquasantiera.
In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l’uomo che ha l’acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Sa bene che i battelli
son grandi topaie sul mare
e che per i bassi salari
le belle barcaiole
e i loro poveri battellieri
portano a spasso sui fiumi
una carrettata di figli
soffocati dalla miseria
in estate come in inverno
con non importa qual tempo.
***
Neruda
Mi piaci quando taci
Mi piaci quando taci perché sei come assente,
e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca.
Sembra che gli occhi ti sian volati via
e che un bacio ti abbia chiuso la bocca.
Poiché tutte le cose son piene della mia anima
emergi dalle cose, piene dell'anima mia.
Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima,
e rassomigli alla parola malinconia.
Mi piaci quando taci e sei come distante.
E stai come lamentandoti, farfalla turbante.
E mi ascolti da lungi, e la mia voce non ti raggiunge:
lascia che io taccia col tuo silenzio.
Lascia che ti parli pure col tuo silenzio
chiaro come una lampada, semplice come un anello.
Sei come la notte, silenziosa e costellata.
Il tuo silenzio è di stella, così lontano e semplice.
Mi piaci quando taci perché sei come assente.
Distante e dolorosa come se fossi morta.
Allora una parola, un sorriso bastano.
E son felice, felice che non sia così.
Come è bello camminare in questo bosco di sentimenti diversamente trasmessi.
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