PER UNA BOCCATA D'ARIA
di
Daniela Fontana
23/01/2013
etichetta: la stanza di Daniela Fontana - narrativa
Le cinque del
mattino. Le tapparelle filtrano un’improbabile alba e il rumore di qualche auto
comincia a farsi sentire.
Sono qui sul
divano da non so quanto, con un bicchiere di latte a metà, gli occhi sfatti e
sulle ginocchia foto sparse di noi, della nostra vita fino a qui. Sulla pelle i
segni di una notte di passione ancora una volta con te, così, tanto per
illuderci che non è cambiato niente.
Il cuore come impazzito
sbatte da un pezzo: graffi, pugni, schiaffi. In pochi secondi le ha prese di
santa ragione e non accenna a riprendersi. Nel cervello stampata quella
immagine: tu e lei accoccolati sotto l’ombrello a ridere come due ragazzini… forse anche di me.
Una ferita
profonda vederti con la faccia distesa, spensierata, fuori da ogni problema;
una legnata leggere sul tuo volto quelle stesse emozioni che una volta avevi
per me.
E lei. Lei non
l’ho messa bene a fuoco. L’ho vista meglio di schiena: capelli biondo tinti,
altezza media, ben vestita con un tranch beige e scarpe con tacco a spillo,
caviglie sottili come piacciono a te, come le mie.
Non curanti
della pioggia e della gente vi siete infilati in macchina in tutta fretta persi
l’una negli occhi dell’altro. E l’auto sembrava ruggisse di felicità ed io
sentivo di essere ormai una cosa morta, spenta, una foglia accartocciata, un
pugile all’angolo in attesa del colpo finale.
Sospesa tra
incubo e realtà ho guardato l’auto perdersi nel traffico e mi sono seduta sul
marciapiede, sì sul marciapiede. Come un mendicante… ci mancava solo il
cartello: “ABBIATE PIETA’ DI ME. HO FAME, HO FREDDO E HO PERSO MIO MARITO”.
Senza dignità, senza curarmi della gente e di quello che poteva pensare di me,
con le gambe incrociate e i capelli pazzi ho cominciato a piangere silenziosa.
– «Signorina,
non si sente bene? Posso fare qualcosa?» -
Alzo lo
sguardo inebetita e con la mano gli faccio un cenno come a dire «Sto bene,
grazie tante».
E trovo anche
la forza di sorridergli. Mi ha chiamato signorina, ma in tanti ancora lo fanno
e questo mi fa sempre sorridere, mi inorgoglisce portare alla grande i miei
anni. Ma non basta.
Non basta
questo a farmi sentire meglio. Ferma nei miei occhi ancora la loro immagine.
Mi alzo e non
penso nemmeno a spolverarmi i vestiti. Riprendo solo a camminare e non vedo
l’ora di rientrare a casa e, piegata in due dal dolore, lasciare campo libero
alla sofferenza.
E a sera
inoltrata lui rientra e mi trova seduta al tavolo, lo sguardo perso nel vuoto e
mi chiede cosa c’è. C’è che sei un gran figlio di puttana brutto stronzo!!!
Lo penso, ma
non glielo dico. Mi limito solo a guardarlo con un sorriso beffardo dicendogli:
“Il lavoro? Tutto ok?” E lui, che ormai è già in camera a cambiarsi, mi
risponde che va tutto a meraviglia. Forse è proprio questa frase a farmi
contorcere le budella e a farmi salire il sangue alla testa.
Lo raggiungo
in stanza e sulla porta lo guardo con aria di sfida e di scherno e sibilo: «Che
gran bastardo! ». Lui si volta incredulo e io glielo ripeto che è un gran
bastardo ad alta voce, per essere sicura che il messaggio arrivi forte e
chiaro. Lui si alza, di scatto, mi prende per le spalle e mi dice: - «Stai
scherzando o stai parlando sul serio?» – e io comincio a ridere, ridere fino a
stare male, di una risata nervosa però, mentre non riesco a trattenere le
lacrime. E lui lì, come un coglione che non sa che fare. Poi, risvegliatosi da
quel momentaneo torpore si scaglia di nuovo verso di me e comincia a scuotermi
ed io mi sento come una lattina, una di quelle lattine di coca-cola che
sbatacchi perché c’è sempre l’ultima goccia da tirar fuori, che se le giri di
capo sotto riesci a farla uscire quell’ultima goccia e, quando ci riesci, ti
senti soddisfatta perché sai che adesso è proprio vuota, libera di essere
riciclata.
Poi un bacio
disperato il suo, da non riuscire a respirare. E io mi divincolo, lo allontano
e mi passo la mano sulle labbra per togliermi il sapore dell’altra. Lo guardo
con disprezzo e poi rabbiosa sono io a ricambiare quel bacio, con forza, con
odio, un odio intenso, infinito ma voglio sentirmi ancora sua e annullarmi nei
sensi per non pensare, per avere ancora la percezione di essere l’unica, per
riappropriarmi almeno una volta ancora di ciò che ho sempre considerato mio, soltanto
mio.
Stupida questa
mia presunzione. Ognuno appartiene a se stesso, perfino i figli…
E sul baratro
ci prendiamo per non sentirci troppo soli in quel momento drammatico. Sappiamo
tutti e due che dopo non sarà mai più lo stesso. Non saremo più quelli che
siamo stati per dieci anni di convivenza, che il torpore della carne durerà il
tempo necessario per sentirci poi più isolati di prima. Che al risveglio avremo
la gola secca, ostruita da un nodo duro da sciogliere, che non avremo fame e
nello stomaco il vuoto. Questo sentirò nello stomaco: il vuoto…
Ed è proprio
così che ora mi sento. Fuori, l’alba non ne vuol sapere di fare il suo
ingresso. Il cielo è coperto da nuvoloni minacciosi e neri da cui non filtra
nemmeno un piccolo raggio di sole. Sembra che rifletta il mio stato d’animo e
sono contenta. Che rabbia se il sole oggi fosse entrato trionfante e
spudoratamente giallo, luminoso! So già che avrei chiuso tutte le tapparelle.
Penombra è questo che oggi mi serve, e se dovesse piovere… benedetta pioggia!
Mi apposterò
dietro la finestra a guardarla scendere per concentrarmi sul suo suono, quel
rumore dolce e malinconico che s’accompagnerà a questa fitta lacerante che
sento dentro di me. E se ne avrò voglia uscirò in strada così, vestita da casa,
e cercherò rifugio tra le sue braccia e lascerò attraversarmi dall’acqua e
quando sarò zuppa, finalmente, non saprò più distinguere quali saranno le
lacrime e quali le gocce di pioggia. Forse penserò di non aver mai pianto o di
non averne più di lacrime. E tornerò a casa, fradicia per poi rendermi conto di
quanto sia stata ridicola. E infreddolita, mi farò una doccia calda, mi
asciugherò con cura e aspetterò che il dolore torni a ledermi l’anima…
Lui è di là
che ancora dorme. Povero angioletto! Spio il suo sonno tranquillo. Come dorme
tranquillo, accidenti! Lo odio. Lo odio per quel che mi ha fatto, per aver
messo fine alla nostra storia, per aver distrutto in un solo momento anni di
complicità, di vita insieme.
Ma lui dorme,
sereno. E io lo detesto sempre di più e sento urgente il bisogno di sfogarmi.
Nella mente quell’immagine torna prepotente a battermi nel cervello… il tranch
beige, i capelli biondo tinti, il sorriso di lui, l’ombrello, le caviglie
sottili...
Accendo la
luce e lui con un gemito si mette una mano sugli occhi. Apro l’armadio e sfilo
la mia valigia e comincio a riempirla in maniera compulsiva mettendoci dentro
tutto ciò che trovo: maglie slip, calze, anche l’abito che portavo ieri… ieri
quando è cominciato l’inizio della fine.
Lui apre gli
occhi, finalmente. E mi guarda stranito – «Cosa pensi di fare? » – io non lo
degno di risposta e continuo a riempirla la mia valigia di cose inutili e
utili.
- «Il libro
che stavo leggendo… eccolo …Eee il mio portatile come ultimo accessorio».
Lui mi
scongiura di restare dicendo che gli devo una spiegazione. Povero idiota!
Ancora fa finta di non capire! Crede che io sia più idiota di lui. Poi gliela
sputo in faccia la verità e lui resta impietrito, aggrappato al cuscino, il mio
e ci affonda il viso. Lo respira a pieni polmoni come a voler trattenere per
sempre il mio odore e con le lacrime agli occhi mi prega di perdonarlo.
Il perdono…
che parola grossa! Eppure sarebbe così semplice. «IO TI PERDONO»… basterebbe
dire questo e con sguardo benevolo riaccoglierlo tra le mie braccia. Un colpo
di spugna e cancellare i tacchi a spillo, il tranch beige, i capelli biondo
tinti, il viso emozionato di lui.
-
«Impossibile» – gli rispondo mentre infilo le scarpe. In un lampo lui è giù dal
letto e si precipita alla porta d’ingresso parandosi davanti per non farmi
passare.
Io lo guardo
con sarcasmo, quasi quasi ora è lui a farmi pena.
Pena?!? Ma
quale pena?!? Sono io, solo io la vittima. È lui che s’è giocato la nostra vita
così, come fosse una partita a dadi e lei, la bionda tinta ha vinto.
Gli intimo di
lasciarmi andare, che oramai è impossibile farmi cambiare idea e lui a dirmi
che è stato solo un colpo di testa, di quelli che prendi quando sei ragazzino
perché hai bisogno di una boccata d’aria, che la famiglia ti sta troppo addosso
e hai bisogno di sentirti vivo, di sentire ancora il sangue scorrere a ritmo
frenetico. – «Solo una boccata d’aria» – mi ripete – «Ma è te che voglio» -.
Disgustata e
divertita lo guardo dritto negli occhi e gli dico – «Tientela la tua boccata
d’aria. È tempo che ora prenda io la mia.» -
Apro la porta.
Fuori la pioggia ha già cominciato a battere. La sento. Nelle orecchie e nelle
narici, penetrante come il dolore che sento nel lasciare questa casa, la mia
casa, la nostra casa.
Fa freddo
fuori e l’aria sa di buono. La libertà è dietro l’angolo, ma è stata lei a
scegliermi, non l’ho scelta io. La bionda tinta ha vinto e io forse… forse ho
vinto anch’io.
Una stretta
allo stomaco, come un crampo… alzo la mano e vorrei urlare TAXIIIII, ma flebile
mi esce solo un taaaxi. Il tassista si ferma, di botto. Intontita entro
nell’auto e lui mi dice – «Dove la porto?» –
- «Dove
finisce la realtà e comincia il sogno» -. Il tassista mi guarda
interrogativamente e mi sorride.
- «Ok! » – mi
dice – «dove finisce la realtà e comincia il sogno».
giugno
2011
Daniela
Fontana
Cara Dany :-) eccoci di nuovo qui:-)
RispondiEliminaRicordo questo racconto e ricordo che mi era piaciuto: finalmente una donna che molla il marito traditore e che decide, pur soffrendo molto, di rifarsi una vita. Il quadro è reso bene, il colpo al cuore nel vedere il tradimento in atto, la conseguente sofferenza, la rabbia, il sesso rabbioso e infine la porta sbattuta.
Il tutto scritto in maniera perfetta, calibrata, senza sbavature, come sempre, e aggiungo in un perfetto stile "Daniela Fontana" ;-)
Ma la cosa che mi ha colpita di più è il finale. Sì, quel finale che di fronte a tanta amara realtà, diventa quasi irreale: dove lo trovi un tassista che risponda "Ok, dove finisce la realtà e comincia il sogno"?
E invece compare proprio alla fine questo personaggio che all'ultima riga apre un nuovo capitolo, crea un alone di mistero sulla sua persona: ma chi è questo tassista? Un angelo custode? Un uomo particolare mandato dal Destino che sarà il nuovo amore della donna? Una nuova vita? Un traghettatore che ha il compito di trasportare da donna delusa e ferita dall'altra parte del fiume? Insomma, mi sono invaghita del tassista e quindi sai che ti dico? Urge secondo capitolo: che succede sul taxi????
:-D
Complimenti e la stima di sempre,
Bacione:-)
Un secondo capitolo... ci penserò. Anche se il racconto si è chiuso così proprio per la voglia di farlo rimanere un po' etereo, così da stuzzicare l'immaginazione del lettore.
EliminaE a quanto pare l'ha stuzzicata.
Comunque, secondo me, il tassista è davvero niente male...
Ciao Stefy e grazie per i tuoi commenti sempre precisi e importanti.
Sai che ci tengo al tuo giudizio.
Baci e a presto
Dany
già
RispondiEliminail tassista.
Daniela, hai scritto un bel racconto.
Complimenti
aspetto anche io
Cosa succede a lei?
Cosa succede a lui?
Ciao
Vedremo cara Ippolita. Come già dichiarato, ci penserò.
EliminaGrazie per il tuo passaggio.
Prometto che oggi lo leggerò, per il momento devo fare i complimenti per la scelta dell'immagine: io ho adorato la scena finale di questo film, forse mi manca il gatto!
RispondiEliminaciao a dopo
Ho fatto anch'io or ora un'incursione veloce. E' vero. Complimenti Franco, non potevi scegliere immagine migliore.
RispondiElimina"Colazione da Tiffany" tra i film che più amo.
A più tardi. Per rispondere alla mia amica Stefy (un bacio) e alla mitica Ippolita.
Bel racconto, Daniela, scritto benissimo e completo fin nei più piccoli dettagli.
RispondiEliminaHai saputo rendere la situazione di stupore, dapprima, e di sofferenza poi, della donna tradita.
Quel sentirsi accantonata, rifiutata. Quel sentire che niente ormai sarà più come prima, lo hai tratteggiato molto bene.
La reazione finale di fuga è istintiva, immediata ma, chissà se riflettendo non sarebbe potuta arrivare, invece, ad una vittoria più sostanziosa? Una vittoria vera, su sé stessa e su l'altra: perché perdonandolo avrebbe potuto riaggiustare quel rapporto, avrebbe acquistato alte vette nella considerazione del marito (certo, se non fosse stato un incallito dongiovanni; se il suo fosse stato veramente uno sbandamento momentaneo). Si sarebbe potuta instaurare fra loro una vicinanza che col tempo si sarebbe via via consolidata. Sicuramente ci sarebbe voluta una grande forza da parte di lei.
In queste reazioni di fuga immediata, senz'altro giustificate peraltro, potrebbe sembrare quasi che, a parte l'umiliazione del tradimento, la donna non anelasse altro che a trovare un pretesto per ritornare libera da quel rapporto.
Bè, certo, i rapporti umani sono complicati e le sottigliezze che li regolano imprevedibili, spesso regolate dal caso.
Mi soono ricordata di un film tratto da un racconto di Somerset Maugham: "Il velo dipinto", attinente ad una storia simile, ma dove il tradito è il marito.
EliminaUn film molto bello, anche dal punto di vista psicologico, con una fotografia stupenda (è ambientato in una zona impervia della Cina), e gli interpreti straordinari.
Se non lo avete mai visto ve lo consiglio.
Certo, Serenella. I se nella vita sono tanti. Se avessi fatto questo, se non avessi fatto quello...
EliminaA me andava di raccontare una storia dove la rabbia della donna venisse fuori tutta. Dove le immagini di un tradimento sono così lesive e umilianti da diventare un tormentone difficile da dimenticare, ma soprattutto da perdonare.
Grazie per le tue osservazioni e per la tua attenta lettura e grazie per il suggerimento del film. Presto andrò a cercarmelo.
Mi hai emozionata perché mi sono sentita coinvolta, pur non avendo mai avuto problemi simili, forse la mia innata gelosia mi ha aiutata a capire la protagonista. La reazione non poteva che essere come l'hai volutamente descritta.
RispondiEliminaMi piace la soluzione finale aperta.
E' bella, è giovane e soprattutto non credo sia sposata.
E ognuno di noi può anche fare suo il finale.
Un bel racconto veramente
Beh Elisa, mi emoziono io a sapere che ho fatto emozionare te.
EliminaSono contenta ti sia piaciuto, davvero.
A presto
«dove finisce la realtà e comincia il sogno».
RispondiEliminaTeatrale, plateale, oserei dire cinematografica la frase finale. L’equivalente di “domani è un altro giorno”, pronunciato da Rossella O’hara in Via col vento. Discutibile finché si vuole, persino poco credibile se la inseriamo in un contesto drammatico, ma allarga il cuore, arriva liberatoria e predispone al sorriso. Sarebbe stato sufficiente aggiungere un punto interrogativo, per cambiare totalmente il significato della stessa. Invece così arriva come una sassata e cambia e stravolge la sensazione che avevo sino a quel momento percepito. Perché parliamoci chiaro, se non fosse stato per la scrittura graffiante e il ritmo incalzante, la storia sarebbe apparsa abbastanza consueta e senza grande interesse. Invece quella frase finale mi ha fatto cambiare idea. Ha dato un volto nuovo a tutta la faccenda, In fondo sono queste le cose che trasformano un buon racconto in qualcosa di speciale ricordare con piacere. Ero pronto a fare il rompipalle anche questa volta, e lo avrei fatto senza meno, ma alla fine mi hai zittito. Complimenti
Come non darti ragione? La storia di per sé non ha nulla di originale.
EliminaMa sono contenta di essere riuscita a farti cambiare idea.
Il finale: a mio parere non poteva essere diverso.
P.S. Allora me la sono scampata per il rotto della cuffia!
Ma ti ho già autorizzato a fare il rompiballe come e quando credi. Le tue osservazioni sono sempre molto utili.
Ciao e grazie ancora.
essenzialmente concordo col padrone di casa. Il punto interrogativo però non ce lo vedo; penso che sia meglio così. Magari - se si vuole accentuare un tono dubitativo - si potrebbe lavorare sulla figura del tassista.. ripeto, se si vuole.
RispondiEliminaPS. "trench"