7/02/2013
etichetta: racconti AA. - VV.
<<Dottoressa, vi presento il mio fidanzato Carlo, ma
io lo chiamo col suo vezzeggiativo: Gaetano>>.
Di fronte a me era una bellezza alquanto ‘esotica’ e non
proprio filiforme, dalla capigliatura molto più avvezza all’acqua ossigenata
che allo shampoo. Il suo sorriso, orgoglioso per la merce offertami alla vista,
mi attraeva con una contagiosa simpatia, forse dovuta al rosso scarlatto un pò
sbavato delle labbra grosse.
La ‘merce’ su cui il mio stanco sguardo si posò era un
ometto smilzo, allampanato, dal sorriso timido e incerto, con degli incredibili
capelli brizzolati dritti sulla testa come le spazzole del mio ultimo
aspirapolvere.
I due fidanzati mi erano già noti: dai tempi del liceo li
avevo incontrati spesso per strada, mano nella mano, racchiusi nel loro mondo,
del tutto impermeabili ai motteggi dei buontemponi e degli scugnizzi della
nostra piccola città.
Con lei avevo già scambiato qualche parola quando, qualche
giorno prima, aveva trovato il coraggio (così mi confidò poi) di fermarmi nel
supermercato sotto casa.
Ero, lo ricordo perfettamente, in quella particolare
condizione di intolleranza nella quale le donne si trovano spesso: minuti
contati, carrello stracolmo, fila alla cassa col portafogli che ha deciso di
occultarsi nell’angolo più recondito dell’immancabile
borsa/pozzo-di-San-Patrizio.
Innocenza mi si avvicinò e, col migliore dei suoi approcci
mi chiese: << Scusate, siete lei da dottoressa dell’Inàm? >>.
Sulle mie labbra un sorriso cordiale, riconoscente per
l’arcaica commistione tra fantasiose coniugazioni e vaghi accenti islamici,
abortì malamente a causa del dito indice incastrato nella cerniera
dell’insaziabile borsa.
Lei, anima generosa di antico lignaggio, finse graziosamente
di non accorgersene e mi chiese un appuntamento al mio studio.
Si, proprio quello dell’Inàm!
L’avevo ovviamente dimenticata quando fece la sua teatrale
apparizione nella sala dei colloqui col suo prestante cavaliere senza macchia e
senza paura.
Alle loro spalle riuscii ad intravedere, mentre si
richiudeva la porta, l’espressione sogghignante ma benevola dei miei
collaboratori, mai abbastanza avvezzi alle mie frequentazioni con pittoreschi
cittadini che chiedono informazioni sul ticket sanitario (più familiarmente
chiamato tic), sull’eventuale inclusione di un congiunto anziano
nell’aucertificazione per l’esenzione dalla spesa sanitaria (<< Come si
carica il nonno sul libretto? >>) o, più semplicemente, mi consultano per
sapere qual è il miglior medico piziatrico, artopedico, ostretico, culistico
(quest’ultimo per particolari problemi alle palle degli occhi).
Chiedo scusa al paziente lettore, o meglio, al lettore paziente,
per la divagazione tesa solo a condividere il senso della mia professione di
aiuto, che ha risvolti spesso umani ed innocentemente ilari.
Dunque all’Inàm, quel giorno di quattro anni fa, giunse
Innocenza ed il suo ‘vezzeggiato’ Gaetano.
Tralascio, solo per amore del mio lettore, la pantomima del
<< Gaetà, caccia fuori dai calzoni tutto per la
dottoressa >>
<< Innocè, questo documento non c’incentra, è la carta
di abbracciante agricola!>>), la supervisione chiestami per chilometrici
conti del bottegaio scritti su carta per avvolgere i salumi, foto sgualcite di
famiglia nonché pagelline di defunti di sesso maschile e femminile tutti,
inesorabilmente, con imponenti baffi.
Dopo circa un’ora di convenevoli, confidenze e confusione
arrivai ad identificare il bisogno (come scrivono i bravi assistenti sociali):
Innocenza mi chiedeva, per sé e il suo amato bene, un posto di lavoro e l’onore
di essere sua madrina al matrimonio che, dopo appena trentatrè anni di
fidanzamento, avrebbe coronato la loro tenera storia d’amore.
Mi barcamenai così tra telefonate a persone di buona volontà
( che notoriamente hanno possibilità inversamente proporzionali alla loro
bontà) e a politici con scrupoli e senza (pochi i primi e molti i secondi).
Tutti promisero, pochi mantennero.
Spesso Innocenza e Gaetano, dopo quel primo e sconvolgente
colloquio, tornarono a trovarmi ed erano loro a confortare me per i continui
tentativi andati male.
La nostra amicizia durò circa tre anni in cui ci aiutammo
come potemmo: io sostenni i due con gli amici del volontariato, loro mi
fornirono indimenticabili momenti di allegria e compagnia in quel luogo dove
spesso avrei voluto affiggere il cartello:
<< CHI S’INFERMA E’ PERDUTO! >>.
Poi, per circa sei mesi, non li vidi più fino all’ultimo, casuale,
incontro nel Broncs (hai letto bene, clemente lettore: non Bronx ma Broncs!).
Viene denominato così un caratteristico quartiere della
nostra cittadina, frequentato democraticamente da criminalità organizzata e
non, grandi topi di fogna dalle prestazioni olimpioniche (comunemente detti
zoccole) e dame generose (parimenti ai ratti di cui sopra, dal volgo definite
zoccole).
Ero lì per svolgere la mia famosa professione di aiuto
(branca diversa da quella delle dame generose, che è molto più ludica e redditizia!).
Sentii l’inconfondibile voce di Innocenza più di cento metri
prima di avvistarla, al centro del grande cortile del caseggiato popolare.
Stava dritta, a gambe larghe e mani ai fianchi, in una posa di littoria
memoria.
Con minuzia nei dettagli, descriveva una certa ladra d’amore
di volta in volta come scopino di water, serpe, genuflessa frequentatrice di
sala ovale, saltatrice di flatulenze, cagna ed altre amenità che solo chi ha
trascorso un’intera vita nella culla della Magna Grecia può conoscere e
comprendere nella loro quintessenza.
Che cosa mai aveva potuto trasformare la lady del Broncs in
quell’ossessa?
L’arcano mi fu spiegato dall’imponente signora Scognamiglio,
orgogliosa portatrice di diabete mellito e quaranta chili di soprappeso, utente
della mia visita domiciliare.
La destinataria dei coloriti epiteti di Innocenza era la
vedova Fusco, donna non particolarmente piacente ma, a detta della
Scognamiglio, esperta seduttrice nonché titolare di una pensione di
reversibilità della buonanima.
Concludendo il dettagliato report, la Scognamiglio rilevò
che Gaetano, ‘sistemandosi’ con la vedova Fusco, aveva unito l’utile al
dilettevole.
Intanto Innocenza, nel cortile, non era più sola: prima le
si erano avvicinati i ragazzini che stavano giocando a pallone più in là, poi
alcune donne di passaggio e, infine, qualche perditempo.
Tra i perditempo c’era qualcuno con la chitarra che cominciò
a sottolineare musicalmente le frasi più incisive della relatrice.
Essa, ben lungi dall’impermalirsi, si sentì rinforzata da
quelle che interpretò come silenziose o musicali testimonianze di solidarietà.
Iniziò quindi un corale secondo atto della vivace
rappresentazione dell’amante orbata di cotanto bene con una serie di canzoni ‘a
dispetto’ di cui la nostra tradizione è ricca.
All’inizio della performance musicale qualcuno disse di aver
visto Gaetano apparire dietro la finestra di casa Fusco per qualche istante.
Effettivamente anche io intravidi una sagoma conosciuta a forma di birillo
oblungo che, proprio con la stessa velocità di quelli del bowling colpiti dalla
palla, scomparve subito.
La suocera della Scognamiglio, in avanzato stato di demenza
senile, seguendo gli sguardi di tutti, vide la fugace apparizione e gridò
enfatica: << Padre Pio! >> ma nessuno le diede retta.
Innocenza, imperterrita, continuò a cantare col suo
accompagnamento un po’ solidale e un po’ a sfottò.
Sulle strofe finali de “O’ sudato nnammurato”, nello
specifico sul ritornello "O‘i’ vita, o’i’ vita mia!", con perfetto
tempismo scenico, dall’androne sbucò Gaetano e, con una determinazione in lui
inimmaginabile, si avvicinò alla sua Innocenza prendendola per il braccio.
Così io, in un impeto poco professionale che non
dimenticherò mai, mi ritrovai abbracciata alla donna cannone Scognamiglio tripudiando
con il coro greco improvvisato mentre i due, in un finale hollywoodiano, si
allontanavano tenendosi per mano lungo via Cupa Lunga (alias Chiuppo Luongo),
allegramente ornata da buste di spazzatura e rifiuti colorati.
(da vetrina del club dei Poeti)
L'ho trovato nell'archivio del club e per errore è stato postato senza il nome dell'autore. Dai commenti si rileva che è stata rivendicata l'appartenza a Maria Pia. Ho chiesto conferma, non pervenuta risposta. E' spassoso, scritto bene e meritava di essere postato di nuovo. Complimenti a chiunque l'abbia scritto. Buona lettura.
RispondiEliminaHai fatto bene a postarlo perché è davvero spassoso. Una vera sceneggiata napoletana.
RispondiEliminaLa sig.ra Fusco ha fatto bene a non comparire, altrimenti sai i lanci di verdure e di invettive. :-))
e come no! Li ho visti veramente i due nei panni di charlie Chaplin e Paulette Godard.
RispondiEliminaDivertente, peccato sia anonimo, potrebbe averne scritti altri tipo Sceneggiata Napoletana.
Charlie Chaplin - Tempi Moderni - Finale - YouTube
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www.youtube.com/watch?v=HpQqqv4kxMk
18/giu/2012 - Caricato da grattacas
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