Quattro chiacchiere sulla
LETTERATURA FANTASTICA
con
Fantasy
Magari
i miei cinque lettori si aspettano che chiuda il discorso che avevo iniziato un
po’ di tempo fa circa la narrativa fantastica. Erano quattro chiacchiere e
quattro, insomma, devono essere.
Beh,
avevo detto che avrei parlato del genere fantasy – sempre da utente della
narrativa, per carità, questo non è un “saggio” ma qualche elucubrazione di un
fruitore del genere – e, soprattutto, avrei ascoltato volentieri che cosa ne
pensano gli altri.
Per
onestà intellettuale devo dire di essermi avvicinato tardi al genere e di
averlo frequentato abbastanza poco.
Personalmente,
definisco fantasy quel genere di narrativa fantastica in cui predominano, nella
costruzione della trama, elementi tratti da mitologie esistenti o inventate di
sana pianta dall’autore.
In
effetti, il fantasy è, tra i tre generi in cui si può sommariamente dividere la
letteratura fantastica (e, sia ben chiaro, senza essere troppo categorici: sono
indicazioni di massima e devono essere, secondo me, funzionali alla
comprensione, non viceversa) quello più avulso dalla realtà.
L’horror
si svolge in ambientazioni realistiche e contemporanee – anzi, la sua forza
spesso deriva proprio da questo.
La
fantascienza esige e pretende verosimiglianza scientifica.
Il
fantasy della inverosimiglianza, della improbabilità, invece, fa la sua
bandiera. Mi pare estremamente improbabile (anche non mi sento di escluderlo
del tutto) che ci sia da qualche parte un trono di Aquilonia, un’isola di
Melnibonè o una città di nome Lankhmar o Ankh – Morpork. Del realismo il
fantasy se ne infischia, anzi, utilizza il fascino dell’impossibile proprio
come le sirene usavano il loro canto.
Non
è forse un caso, però, che a questa conclamata inverosimiglianza faccia spesso
da contrappeso un’estrema analiticità e minuzia nella descrizione di mondi
fantastici. Guardate come sono accurate le piantine che accompagnano i libri
fantasy e la precisione, quasi da antropologo, da storico o da entomologo, con cui
si descrivono creature immaginarie.
Credo
che ciò dipenda da due ragioni.
Il
primo è, credo, un’insopprimibile esigenza di coerenza della realtà. I mondi
fantasy che mi è capitato d’incontrare sono a volte molto diversi tra loro, ma
quasi tutti hanno una struttura interna molto solida. Il lettore fantasy non ha
nessuna difficoltà ad immaginarsi una lucertola volante che sputi fuoco, ma
esige che quel fuoco bruci.
Anzi, di più, alle volte sente il bisogno di
specificare che quel fuoco è, in realtà, un veleno che s’infiamma al contatto
con l’aria (come di draghi descritti da Moorcock) o che il nostro lucertolone
non potrebbe volare (si suppone che la gravità del mondo fantastico in esame
sia come la nostra, altrimenti dame e cavalieri ballonzolerebbero come astronauti),
ma vola perché le forze del Caos che s’infiltrano dal multiverso gli forniscono
l’energia necessaria.
Il
secondo motivo, a mio parere, è più sottile e coinvolge, credo, l’essenza
stessa della narrativa fantasy. All’inizio della nostra chiacchierata dicevo
che, a mio giudizio, la narrativa fantastica si occupa spesso di assoluti: il
Bene, il Male, la Vita, la Morte ecc. Reputo che, nel fantasy, questo emerga
con particolare evidenza. L’esempio più noto è Tolkien. Sauron è il Male e non
è (per interpretazione autentica dello stesso autore) Hitler in versione
fantastica – casomai il buon vecchio Lucifero. Il Male dev’essere sconfitto e
poche storie, senza gl’infingimenti e i tentennamenti della vita reale. In
Brooks è più o meno la stessa storia, almeno per quello che ho letto. Questa
nettezza di forme e contenuti si trova però (a mio parere) anche in autori
assai diversi. R.E Howard col suo Conan si pone il dilemma barbarie / civiltà
(e tutte le sue simpatie vanno alla prima).
Il Cimmero affronta i problemi
della vita (che hanno l’aspetto di mostri e/o regine sessualmente depravate) e
li sbaraglia a mazzate (beh, coraggio, chi non ha mai sognato di farlo, almeno
una volta?). Nella pessimistica saga di Elric, Moorcock rovescia gli stilemi
del genere per dirci che (ed è esattamente il contrario di quello che sostiene
Tolkien) alla fine è il Caos (leggasi pure entropia) a vincere e la fine
coincide con la morte dell’universo… salvo poi ricominciare tutto nell’universo
successivo. Nei romanzi di Leiber (un autore che preferisco come scrittore
horror o SF, peraltro) compaiono, e senza maschera, gli archetipi della
psicologia junghiana. Uno dei personaggi più riusciti del Mondo Disco creato da
Pratchett è la Morte stessa, che agisce, filosofeggia e ci fa ridere allo
stesso tempo.
Insomma:
nel fantasy abbiamo a che fare con gli Assoluti, gl’Interrogativi Ultimi, i
Grandi Temi senza le difficoltà cognitive, interpretative, applicative che
incontriamo nella vita di tutti i giorni.
Ecco
perché, accanto alla pressoché assoluta improbabilità, i migliori libri fantasy
(almeno, quelli che io giudico tali) sono intrisi di qualcosa molto simile alla
logica formale (Lewis Carrol insegnava matematica).
A
differenza del mondo reale, il mondo fantasy ha un senso o, quantomeno la
possibilità di un senso, caratteristica che, nel mondo reale, non sempre ci è
dato rinvenire. Ecco perché i romanzi fantasy hanno una struttura coerente.
Esprimono spesso il bisogno di un senso, di un significato che il lettore non
fatica a cogliere subito sotto la superficie delle cose (duelli, battaglie ecc)
L’accusa
che si muove al fantasy (e in generale alla letteratura fantastica) è di
fomentare l’escapismo, la fuga dalla realtà. È un’accusa quasi sempre vera, ma
che non si cura di una domanda fondamentale: fuga sì, ma per andare dove?
Probabilmente in un mondo dove il bene vince e il male perde, un mondo molto
vicino – se non proprio lo stesso – al Paese della Felicità dove, alla fine
delle favole che ci raccontavano da bambini, vanno a vivere l’eroina ed il
Principe Azzurro.
Credo
che lo stesso discorso valga, anche se i termini della struttura sono
invertiti, nei romanzi fantasy dove il meraviglioso irrompe nel quotidiano.
Qui, a differenza degli altri, non siamo noi ad essere trasportati in un
contesto fantastico, ma è il mondo fantastico ad essere – scopriamo – tutto
intorno a noi. American Gods, di Gaiman, è un buon esempio. Stringi stringi, il
tema è sempre quello: perché succedono le cose? Qual è il senso di questo o di
quello – o, addirittura, di tutto?
Aggiungo che il fantasy è anche un buon banco di prova per verificare la fondatezza di un’ affermazione di King (il saggio – quello sì che è un saggio – è “Danse Macabre” Ed. Theoria): tutta la letteratura fantastica si basa sul concetto di potere (anche l’horror e la fantascienza); quella mediocre tratta di chi il potere ce l’ha e lo usa, quella di qualità superiore di chi il potere non ce l’ha, ma lo scopre oppure di chi lo perde, oppure di chi paga un prezzo salatissimo per averlo.
Aggiungo che il fantasy è anche un buon banco di prova per verificare la fondatezza di un’ affermazione di King (il saggio – quello sì che è un saggio – è “Danse Macabre” Ed. Theoria): tutta la letteratura fantastica si basa sul concetto di potere (anche l’horror e la fantascienza); quella mediocre tratta di chi il potere ce l’ha e lo usa, quella di qualità superiore di chi il potere non ce l’ha, ma lo scopre oppure di chi lo perde, oppure di chi paga un prezzo salatissimo per averlo.
Ecco
perché, a mio parere giustamente, le storie di sword and sorcery (alla Conan)
sono di solito qualitativamente inferiori a quelle di epic fantasy (alla
Tokien) … a proposito, alla faccia di chi ha in uggia le distinzioni, queste
sono categorie descrittive usate dagli appassionati di fantasy e, francamente,
sembrano eccessive anche a me – ma forse proprio appassionato di fantasy non
sono.
Adesso
facciamo il solito giro in libreria… sono tanti i romanzi fantasy, vero?
Secondo me sono molti di più di quelli di fantascienza e dell’orrore ed è
troppo facile liquidare il fenomeno come infantilismo editoriale e/o del
lettore.
Io
credo che le ragioni siano almeno due.
La
prima è commerciale. Il Fantasy adora le saghe, i cicli interminabili. Il
contrario di quel che succede, o dovrebbe succedere con l’horror che si sta
“fantasyzzando” – i libri della Hamilton, con vampiri, zombi, stregoni inseriti
nella nostra realtà e che convivono con gli umani sono un ottimo esempio (anche
qui mi sono fermato ad un libro solo, però).
La
seconda è legata da un lato al bisogno di senso ed alla crescente sfiducia
nella tecnologia. Come dicevo quando palavo della fantascienza, ormai non
capiamo più il progresso, non ce ne fidiamo più, abbiamo trascurato le grandi
teorie, le grandi scoperte, le grandi invenzioni e ci siamo rifugiati nelle
“apps” per il telefonino… ma non è la stessa cosa, vero?
Vado
anche più in là.
Abbiamo
ancora bisogno di credere che, dietro l’angolo, ci sia la possibilità di un
domani migliore dell’oggi e, cadute molte certezze (scienza, politica,
religione ecc.), rimane, magari senza che ce ne accorgiamo, la bacchetta delle
fate. Letteralmente e letterariamente.
Chesterton
sosteneva che, quando gli uomini smettono di credere in Dio cominciano a
credere a qualunque cosa e non escludo che dietro il boom del genere da
trent’anni a questa parte possa esserci anche questo fattore. Un fattore magari
poco influente, probabilmente minimale, ma non mi sento di escluderlo del
tutto.
Beh,
la chiacchierata è finita. Ringrazio chi è passato e ha commentato, chi è
passato e non ha commentato, chi passerà e commenterà, chi passerà e non
commenterà e chi non passerà affatto. Anche sapere che un argomento non
interessa è utile.
Vorrei
“rubare” però il congedo ad uno dei miei scrittori preferiti, Stephen King e,
più specificamente, da quello che, tra i suoi libri, è forse il mio preferito:
“It”.
Parto
dal presupposto che non sappiamo molto di quello che abbiamo intorno e neppure
di quello che abbiamo dentro.
A
parer mio – scusate se parlo di me, ho cercato di evitarlo, ma “Parliamo tanto
di me” potrebbe essere anche lo slogan del blogger – sappiamo tutt’al più di
non sapere.
Spesso
ci vuole, per dire che qualcosa non esiste, la stessa dose di fede che serve
per dire che qualcosa esiste.
Parlare
di fede, in tutte le sue accezioni, è però eccessivo, soprattutto per una
chiacchierata come questa, che limita il proprio oggetto alla narrativa
fantastica.
Non
mi sento di escludere che la vasta area dell’ignoto possa contenere Qualcosa. Senz’altro
mi piace crederlo.
Non
possiamo parlarne e forse, razionalmente, non dovremmo, dato che non sappiamo
granché.
Ciò
nondimeno osiamo raccontarne, senza rimanere bloccati nelle nostre piccolezze e
miserie quotidiane. Ci scriviamo sopra, come se non bastasse, poesie racconti e
romanzi.
Credo
che sia una forma di magia, molto più potente di qualunque paletto di frassino,
di qualunque motore ad annichilazione, di qualunque bacchetta delle fate.
E,
come dice Stephen King, il romanzesco è la verità dentro la bugia.
Quattro chiacchierate tutte insieme fanno un bel discorso.
RispondiEliminaIn un secondo tempo, se sei d’accordo ne farò un testo unico per la serie degli OhBook.
Oltre all’esposizione chiara e documentata, penso che tu abbia fatto bene a soffermarti sulle commistioni di genere, che danno origine a innumerevoli altre categorie minori. La fantascienza molto spesso sfocia nel fantasy e viceversa. IL thriller si tinge di fosche tinte, tanto da confondersi con l’horror. Le contaminazioni avranno dato origine anche a qualcosa di nuovo, di buono e non sempre sono viste in senso deteriore. Ma questo avviene un po’ in tutti i settori dell’arte, in ogni caso è stato interessante, per uno come me che confonde ancora la fantasia tout court con il fantasy, seguirti in questa affascinante carrellata di libri.
"Insomma: nel fantasy abbiamo a che fare con gli Assoluti, gl’Interrogativi Ultimi, i Grandi Temi senza le difficoltà cognitive, interpretative, applicative che incontriamo nella vita di tutti i giorni."
Sono completamente d'accordo con questa definizione.
Bè, che tutti fossi preparato in materia non avevo dubbi, ma la cosa che più mi ha fatto piacere leggendoti, è che hai saputo esporre le tue tesi con garbo e semplicità, e con estrema chiarezza.
Bella lettura.
Ti ringrazio (in primis dell'ospitalità)e ovviamente non ci sono problemi per una edizione tutta intera, se interesserà.
RispondiEliminaQuanto ai generi, a me a volte piace confonderli (la commistione più ardita è stata una fusione western / horror) e credo sia un modo divertente di usare le etichette.
Quanto al resto, Cesare Marchi si autodefiniva un "utente dell'alfabeto" e, come etichetta, sta benissimo anche a me.
Molto interessante, ma perchè è finita qui?
RispondiEliminaE il genere rosa, quello erotico, il poliziesco e le fiabe? Bè che sono sottogeneri? O Sottosottogeneri? Non vale la pena parlarne?
Ahh... per queste cose dici che mi devo rivolgere al padrone di casa? Vabbè, ho capito, ciao
Max
Beh... molto semplicemente perché non mi sento di avere qualcosa di interessante da dire su quei generi (ammesso che abbia detto qualcosa di interessante sul genere fantastico). Forse qualcosina sul giallo, ma vedremo.
RispondiEliminasecondo me il bello è quando non riescono ad etichettare quello che scrivi...poi vabbè, o si scrive bene oppure male, non c'è storia.
RispondiEliminafino a un certo punto. Secondo me non dobbiamo idolatrare l'originalità che, altrimenti, diventa bizzarria. A mio parere (beh... non solo mio) le storie sono poche, le trame pochissime. Propp lo ha spiegato molto bene quanto alla fiaba, ma vale per tutti i generi.
EliminaPrendiamo un racconto di Fantascienza come "Il pianeta proibito" (da cui un film con Leslie Nielsen, quello che diventerà famoso anni dopo per le "Pallottola spuntata"). Ebbene: la trama è la stessa de "La tempesta" di Shakespeare.
non so se Ayn Rand e la sua trilogia si può inserire nel filone fantasy...comunque non mi è dispiaciuta
RispondiEliminaNon conosco Any Rand e faccio prima a dire quali scrittori fantasy mi sono piaciuti: Tolkien, Moorcock (l'ultima parte della saga di Elric)Pratchett (che scrive fantasy comica). Poi ho letto Brooks (tre libri) Howard (Alcuni racconti), Leiber (un libro), Martin (m'è piaciuto ma... ragazzi miei il troppo stroppia! un libro basta) un paio di Gainman. Amo abbastanza poco il fantasy, tanto che della serie "la torre nera" di King (l'ambientazione e l'idea di fondere western e fantasy è veramente notevole e deriva dritto dritto da - lo spiega l'autore - la visione de "Il buono il brutto il cattivo" di Leone) ho letto solo il primo libro.
Eliminaah... dimenticavo di citare i romanzi ucronici di Harry Turtledove: il Ciclo della Legione è l'unico ciclo (tetralogia) che abbia finito
EliminaPensare che qualsiasi cosa nel passato avesse avuto, come ad esempio la morte di Napoleone in Russia, un'altra fine e scrivere una probabile nuova nostra storia?
EliminaQuante volte me lo sono chiesto.
Non conosco questo scrittore. Grazie per la dritta
Mi viene sempre nella mente la famosa farfalla...
benone!.
RispondiEliminahttp://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/12/17/ayn-rand-icona-della-destra-americana.html
Fantasy? Tutto quello che non ha nulla a che vedere con la realtà. Io partirei dalla mitologia, farei una capatina ad Avalon, alle leggende nordiche, poi farei un giro nel sud est asiatico, tornerei in Europa: dalle fiabe che non sono nate per i bimbi per arrivare ai nostri giorni. Prendi tolkien considerato in italia paladino delle destre e in america, se non ricordo male, maestro delle sinistre.
E' bello evadere dalla realtà.
Sì in America molti consideravano Tolkien di sinistra. In realtà penso che non si possa fare torto peggiore al fantasy, che non ha il senso della storia, anzi, si caratterizza proprio per essere fuori dalla storia, di attribuirgli connotazioni contingenti o, peggio ancora, politiche.
RispondiEliminaIn realtà il fantasy è, secondo me, Tolkien in testa, antimoderno. Questo a mio giudizio fa sì che tutti coloro che si pongono in contrasto con la modernità, per un motivo o per l'altro, leggano le storie fantasy come storie proprie.
A mio parere il processo corretto è esattamente l'opposto: non è che viene prima la categoria politica o storica nella quale inserire il fantasy e poi il testo fantasy. Cioè, non è che io, critico della modernità, scrivo una storia che confermi le mie visioni. Io scrivo una storia antimoderna e poi qualcuno (o io stesso) cerca di incasellarla in una categoria storica o politica: se la storia gli è piaciuta, nella propria, altrimenti in quella opposta.