IN... TRENO
di
Rita Iacomino
18/04/2013
etichetta: racconti AA.VV.
Un
viaggio in treno!
Quanto
tempo era che Anna non prendeva un treno?
Almeno
trent’anni, da quando a sedici anni aveva lasciato il suo paese. Era rimasta senza genitori a tre anni,
l’avevano cresciuta i nonni che, diventati anziani, ritennero di dover mandare
la ragazza da una zia che viveva nel nord Italia. Si era appena diplomata
quando si trasferì a Milano e a quei tempi non fece nessuna fatica a trovare un
posto da impiegata.
Lì
conobbe l’uomo che solo dopo tre anni di fidanzamento sposò. Anna aveva poco
meno di vent’anni e Vittorio quasi venticinque, ma il loro non fu un matrimonio
felice.
Ora
la donna, si trovava alla stazione centrale di Milano, vedova da pochi mesi, distrutta
da tutto il suo pesante vissuto e, forse, l’unica motivazione che avrebbe
potuto aiutarla a riprendersi era quella di andarsene via per qualche tempo e
magari tornare al suo paese d’origine. Sicuramente non le sarebbero mancati il
tempo e la tranquillità per rimettere insieme i pensieri e capire qual era il
futuro che le si prospettava davanti.
Aveva
da poco compiuto cinquant’anni, un’età che per lei cominciava a diventare
pesante, essere rimasta sola accentuava questo malessere.
Eccolo
il “suo” treno, un fiammante “Frecciarossa” che avrebbe impiegato solo tre ore
per fare tutto il tragitto. E pensare che quando era partita per il Nord, aveva
preso il diretto Lecce-Milano che fermando in tutte le stazioni aveva impiegato
dodici ore per fare seicento chilometri. Ma il progresso aveva accorciato le
distanze e in poche ore si poteva raggiungere Milano.
Ora
il suo viaggio era all’incontrario, ma il suo entusiasmo non era più quello di
quando era partita, né la sosteneva la forza fisica. Era troppo provata dalle
ultime vicissitudini e da un matrimonio avvenuto troppo presto e che aveva
interrotto la sua adolescenza per introdurla in un mondo di adulti, con tutte
le responsabilità che ne sarebbero derivate.
Erano
le tre del pomeriggio, Anna salì sul treno con il posto prenotato in prima
classe, ora poteva permetterselo, non era più povera. Vagone numero quattro,
posto dodici, mese e giorno della sua data di nascita e questo le sembrò di
buon auspicio.
Sedette
vicino al finestrino e pochi minuti dopo il treno uscì dalla stazione di Milano
prendendo in pochi minuti l’alta velocità che era la caratteristica del
“Frecciarossa”
Anna
aprì il libro che aveva con sè e cercò di concentrarsi nella lettura, ma il suo
sguardo si perse fuori dal finestrino mentre la sua mente entrava nei ricordi
della sua vita.
Chissà
quanto tempo era passato. Sentì un rumore strano, aprì gli occhi ed era seduta
su una panca di legno, dura e scomoda. Il treno ora andava pianissimo, tanto è
vero che guardando fuori dal finestrino si potevano contare gli alberi che
passavano davanti.
Si
fregò forte gli occhi e guardò in giro. La carrozza era vuota, c’era un
finestrino leggermente aperto che faceva svolazzare la tenda scura parasole.
Ma
no, lo scompartimento non era completamente vuoto, proprio di fronte a lei
c’era una bambina di circa tre anni, seduta compostamente sulla panca con le
manine appoggiate sulle ginocchia. Aveva un vestitino rosso arricciato in vita,
indossava calzettoni di lana grossa fatti a mano e scarponcini blu che arrivavano
alle caviglie.
Il
suo visino era tondo e molto bello, ma serio. I suoi occhi grandi guardavano
Anna come se volessero penetrarla. Alle orecchie aveva due cerchietti in oro,
così piccola e portava già gli orecchini.
Improvvisamente
la donna si toccò i lobi delle orecchie, sentì un bruciore misto a un dolore
fortissimo, ma fu solo per un attimo. Lei non portava gli orecchini, li aveva
tolti da ragazza e buttati via, non le erano mai piaciuti, i buchi delle sue
orecchie si erano richiusi da tempo e non li aveva più rimessi.
Guardò
la bimba e le chiese:
- Cosa ci fai tu, così piccola da sola
in treno? Come ti chiami?
Lei
rispose seria e con la voce da adulta:
- Mi chiamo Anna, sto andando a cercare
i miei genitori, sono andati via un anno fa e non li ho più rivisti. La mamma
prima di partire, mi ha messo gli orecchini, mi ha stretto forte forte fra le
sue braccia, mi ha detto che andava a cercare mio papà e poi sarebbe tornata a
prendermi.
Le
faceva impressione sentire una bambina così piccola parlare con la voce da
donna matura.
Le
chiese di nuovo:
- Ma tu, con chi vivi? Chi ti cura? Hai
fratelli?
La
piccola rispose:
- Sì, ho un fratello, ma l’ha portato
via la mamma.
La
donna era sconvolta, si stava chiedendo cosa stesse accadendo in quel treno;
chiuse per un attimo gli occhi e li riaprì dopo pochi minuti, tutto era tornato
normale. Il Frecciarossa volava sui binari, la poltroncina dove era seduta era
comoda e soprattutto non c’era nessuna bambina davanti a lei. Aveva sognato,
anche se tutto le era sembrato molto reale.
Guardò
l’orologio, era passata un’ora dalla sua partenza, le conveniva riprendere la
lettura del suo libro, il tempo sarebbe passato più velocemente.
Iniziò
a leggere, la trama del romanzo la prendeva, ma la stanchezza prese il
sopravvento sul piacere della lettura e si riaddormentò.
Quando
riaprì gli occhi, era di nuovo sola nello scompartimento con le panche di
legno, la scena era la stessa, l’unica differenza era che ora davanti a sé
vedeva una bambina più grande. I suoi capelli erano ricci e di media lunghezza,
gli occhi grandi e profondi, lo sguardo
le perforava il cervello.
Anna
turbata abbassò il suo verso terra, sul pavimento c’era una pozza d’acqua, lo
rialzò lentamente e guardò la bimba: aveva il vestitino tutto bagnato.
Le
prese un grande malessere, ma riuscì a parlarle con molta dolcezza:
- Come ti chiami? Quanti anni hai?
- Cosa ti è accaduto? Perché sei sola?
La
bimba serissima e sempre con quella strana voce da adulta rispose:
- Mi chiamo Anna, ho sei anni. Ero in
strada con le mie amichette, aspettavo mi chiamassero per giocare con loro. Ho
aspettato tutto il pomeriggio che lo facessero, ma nessuna ha fatto il minimo
cenno. Allora sono tornata a casa dalla nonna, ma non ce l’ho fatta a fare la
rampa di scale, mi sono fatta la pipì addosso e non sono ancora riuscita a
cambiarmi.
Anna
provò una pena lacerante per quella bambina che stranamente si chiamava come
lei.
Guardò
di nuovo fuori dal finestrino, gli alberi scorrevano lentamente e
monotonamente, si riappisolò con un macigno sul petto.
Il
Frecciarossa si fermò ad Ancona, mancava solo un’ora all’arrivo al suo paese,
però ad Anna quel viaggio sembrava interminabile e pesante.
Ogni
volta che chiudeva gli occhi e li riapriva la scena cambiava, ma solo per
l’altra ospite dello scompartimento.
Eccole,
ancora loro due, ma ora di fronte alla donna un’adolescente magrissima, aveva
un pacco di libri legati con un grosso elastico appoggiati sulle ginocchia.
Che
strano, la ragazza non aveva gli orecchini, come se li avesse appena tolti, ma
si vedevano ancora il segno dei buchi aperti nei lobi.
Questa
volta Anna non le chiese neanche il nome, sapeva già la risposta, però aveva
voglia di parlarle.
- Ciao Anna.
- Ciao.
- Stai andando a scuola vero?
- Sì, per me questo istituto è stato un
ripiego, non è quello che avrei voluto frequentare, ma è questo che ho dovuto
fare. Quest’anno mi diplomo, con un anno di anticipo, ho fatto il biennio in un
solo anno.
La
donna si accorse che nonostante questa risposta un po’ amara, la ragazza non
era triste, anzi le sembrava molto solare. Le chiese di nuovo:
- E dopo il diploma cosa farai?
- Sicuramente andrò ad abitare a Milano
dagli zii, i nonni sono diventati anziani.
- E i tuoi genitori?
- Non lo so, non li ho più visti da
quando avevo tre anni. So che si sono rifatti una vita, hanno altri figli e
vivono in una città della Campania, ma oltre questo non mi è stato detto
null’altro.
Sto
bene con i nonni, mi danno tanto amore e mi hanno insegnato a darlo.
La
donna aveva sempre di più il cuore compresso in una morsa, ma il treno correva,
era già entrato nella regione dove si stava dirigendo, però le restava ancora
un po’ di tempo per leggere qualche pagina. Riaprì per l’ennesima volta il
libro, ma non era giornata.
Anna
guardò per un attimo fuori dal finestrino, il treno aveva rallentato
molto. Che strano, proprio in quel
punto.
Come
in un film le immagini iniziarono a scorrere veloci davanti ai suoi occhi. Alla
sua sinistra poteva vedere il mare, il suo mare, il grande scoglio piatto, dove
andava a sedersi quando voleva stare da sola e piangere tutte le sue lacrime,
fino ad avere gli occhi completamente asciutti affinché la nonna non intuisse
la sua sofferenza, così aveva imparato a mascherare tutto sotto i sorrisi.
Sulla
collina vedeva la sua scuola, le stavano consegnando il diploma con il
punteggio più alto. Gli abbracci delle amiche, i complimenti della preside e
dei professori, i suoi sedici anni con la voglia di scoprire un universo che
non era mai stato il suo.
Ora
eccolo il suo mondo di oggi: moglie, mamma, vedova e quel treno preso
all’incontrario, che ancora una volta aveva le panche di legno.
Diede
un’occhiata al sedile di fronte a lei, c’era una donna matura, di
cinquant’anni, stanca, triste e demotivata, che la guardò e le chiese:
- Cosa ti aspetti da oggi in poi?
- Perché sei tornata qui, al tuo paese
dove non troverai più nessuno?
Anna
rispose con un filo di voce:
- Devo ripartire da qui per ritrovare
Anna.
Mi piacerebbe sapere se l'autrice porta gli orecchini e se ha (ancora) i buchi ai lobi delle sue orecchie...
RispondiEliminaSì, l'autrice dopo aver lasciato da parte il treno con le panche di legno, ha rimesso gli orecchini, da poco e solo in occasioni speciali. Grazie Franco, questo è uno dei racconti che amo di più insieme a "Vento di tramontana".
RispondiEliminadonne, povere donne sole, così tormentate e così necessarie all'umanità. così tristemente ignorate e malcapite. così ingiustamante maltrattate.
RispondiEliminaQuando questo racconto fu postato sul CdP, ricordo d’avere espresso parere positivo … e propositivo (nel senso che m’aspettavo in contraccambio un gesto concreto di riconoscenza, tipo una torta di quelle speciali, che solo tu sai fare).
RispondiEliminaLe attese rimasero deluse.
L’averlo ora riproposto, ha rinnovato la speranza: potrebbe andarmi meglio questa volta?
Visto che su questo blog è possibile intervenire più d’una volta sullo stesso inserimento, potrebbe Rita rassicurarmi che, nel caso mi esponga nuovamente con un commento a suo favore, si ricorderà di me in maniera più costruttiva di quanto non sia successo la prima volta?
SCHERZO SCHERZO SCHERZO: la storia è ottima: rileggendola, non ho cambiato idea.
Intanto grazie a Massimo, anche se non ho il piacere di conoscerlo, mi piace questo commento/messaggio. Però voglio anche dirgli che le donne sono molto forti e chi mi conosce questo lo sa. Non si arrendono mai, neanche a una certa..età.
RispondiEliminaRita
Chi è interessato ai tuoi buchetti, tanto da perderci il sonno e chi pensa alle tue torte. Tu mi procuri la grappa del filo di ferro ed io un po' d'olio di quello buono, in fondo se la smettessimo di scambiarci stelline e praticassimo il baratto sarebbe molto meglio.
RispondiEliminaPer venire al racconto concordo nel dire che è uno dei migliori che tu abbia proposto in questi ultimi anni.
Ciao
Per quanto riguarda il SIGNOR SALVO SCOLLO, che mi conosce benissimo, so che ha consumato quintali di fazzoletti, perchè ogni volta che mi chiede una torta, lo fa piangendo amare lacrime. Ma io lo ricatto, dicendogli di commentarmi al Cdp con stelle a iosa, ma lui imperterrito, scrive quello che si sente, ed io per questo lo ammiro e lo stimo.
RispondiEliminaPerò devo aggiungere che è un po' bugiardello, perchè le mie torte le ha mangiate con e senza commenti.
Un abbraccio a Scollo e Frame del Club
Ecco, com'è che arriva la Iacomino e finisce tutto a tarallucci e torte?? Scherzo, ben arrivata. Il pregio di questo pezzo è di aver simbolizzato una pagina di diario, il treno che viaggio attraverso la vita.
RispondiEliminaCiao PattiS, prima o poi ti farò assaggiare una fetta delle mie torte, sicuramente meglio delle mie poesie, ma io vivo con serenità questo periodo della mia vita, quindi servono anche i tarallucci e vino, anzi...indispensabili!
EliminaCiao e buon pomeriggio, io ora vado al lavoro!
- Fatti i conti, forse andrebbe meglio < da oltre trent'anni >.
RispondiElimina- Parrebbe che la Milano-Lecce conti 1029 km.
Certo che i tempi sono cambiati: oggi ci si sposa tardi, si figlia a cinquant'anni, i fidanzamenti sono decennali, l'adolescenza dura per sempre...
Mentre ai miei tempi il fidanzamento di tre anni sembrava forse esagerato, il matrimonio a venti quasi la norma per la donna.
Il Frecciarossa mi ha sempre preoccupato: con la precarietà ordinaria della sicurezza stradale in Italia, l'alta velocità mi mette ansia...
Sul contenuto.
Coppia sterile?
Cinquant'anni, vedova, senza figli, in buona salute, economicamente tranquilla: ma cosa vuole quest'Anna qui...?
Superate le mie lamentele, il testo appare coinvolgente e ben retto dai quattro flashback.
Lo stile scarno e semplice, ma non sciatto.
Con un dormiveglia in cui ci ritroviamo tutti, quando su un treno ci si appisola tranquilli, senza preoccupazioni e tensioni di guida.
La Rita che ben conosciamo, quindi, brava Autrice, sempre premiata ed a ragione, che sa festeggiare in buona compagnia le liete ricorrenze...
Bravissima.
Sid
Un flash back intervallato da momenti reali.
RispondiEliminaE' così che accade in treno, sopravviene un dormiveglia che mescola ricordi e realtà. Hai ben esposto la situazione del momento, senza scadere in una esposizione diaristica, anzi, rendendo lo scritto molto comunicativo.
L'ho riletto con piacere, Rita.
Io sul diario in letteratura non ci ho nulla in contrario.
RispondiEliminaAltrimenti dovremmo cassare tutti gli Autori del passato che al riguardo hanno scritto pagine eccelse costruendo la loro fortuna.
Semmai si tratta solo di pretendere un maggior impegno narrativo.
C'è poi chi il diario l'accetta solo se proposto in terza persona, chissà perchè.
Ricordo non molto tempo fa una certa Viridis ( non so se la Verdiana ripresa nel blog ), la quale dall'India che stava viaggiando mandava in diretta p.c. splendidi pezzi autobiografici locali.
Sid
Prima di andare a dormire, ormai sto già crollando, volevo ringraziare Serenella per il bel commento (soprattutto per quel "senza scadere in un'esposizione diaristica" e Sid, che interviene sempre in modo molto profondo ed esplicativo.
RispondiEliminaBuona notte a tutti
Rita
Ehi! Per esposizione diaristica di solito si intende:
RispondiElimina"Oggi mi sono alzata, sono andata al mercato, ho fatto la spesa, poi tornata a casa ho preparato il pranzo..."
e mi fermo qui,
tanto avrete capito che si dice quando si tratti di un mero elenco di cose fatte o sensazioni personali provate.
Notte (vista l'ora).
Cara Serenella, mi permetto di trascrivere questa splendida lirica di Prévert, che forse riesce a mettere in dubbio certe convinzioni:
EliminaDéjeuner du matin
Il a mis le café
Dans la tasse
Il a mis le lait
Dans la tasse de café
Il a mis le sucre
Dans le café au lait
Avec le petit cuiller
Il a tourné
Il a bu le café au lait
Et il a reposé la tasse
Sans me parler
Il a allumé
Une sigarette
Il a fait des ronds
Avec la fumée
Il a mis les cendres
Dans le cendrier
Sans me parler
Sans me regarder
Il s'est levé
Il a mis
Son chapeau sur sa tête
Il a mis
Son manteau de pluie
Parce qu'il pleuvait
Et il est parti
Sous la pluie
Sans une parole
Sans me regarder
Et mois j'ai pris
Ma tête dans ma main
Et j'ai pleuré.
( Ha messo il caffè
Nella tazza
Ha messo il latte
Nella tazza di caffè
Ha messo lo zucchero
Nel caffè latte
Con il cucchiaino
Ha girato
Ha bevuto il caffè latte
Senza parlarmi
Si è acceso
Una sigaretta
Ha fatto dei cerchi
Con il fumo
Ha messo la cenere
Nel portacenere
Senza parlarmi
Senza guardarmi
Si è alzato
Ha messo
Il suo cappello sulla testa
Ha messo
Il suo impermeabile
Perché pioveva
E' parti
sotto la pioggia
Senza una parola
Senza guardarmi
E io io ho preso
la mia testa nella mano
E ho pianto. )
Siddharta
Bè, la conoscevo, ma non mi sembra gran che come poesia, anche se è di Prévert, che fra l'altro mi piace molto in altre sue.
EliminaInfatti Serena per me hai fatto un grande complimento, visto che qualcuno/a ha detto di aver simbolizzato una pagina di diario, ho apprezzato molto il tuo parere, che è l'esatto contrario. Grazie e a presto (spero)
RispondiEliminaRita
temo che non mi abbiate capito. con pagina di diario non intendevo una cosa negativa o che rita ha scritto un diario (e che avete contro i diari? Ne sono stati scritti di stupendi), ma intendevo una pagina di vissuto personale. Preferite pagina di vissuto personale? Vi gusta di più?? Simbolizzare una pagina di vissuto personale, leggete in codesto modo se la parola diario vi turba.
RispondiEliminaPatty, non mi riferivo assolutamente a te nel mio commento.
EliminaIo ho voluto solo esplicitare meglio il mio pensiero; per me, una cosa scritta bene ha valore, qualunque veste, etichetta, genere o altro, rivesta.
Nel racconto noto la specularità dei movimenti: giù verso il paese, all'indietro con la memoria, in avanti nel tempo con le apparizioni della figura. L'immagine del viaggio diventa quindi anche viaggio interiore.
RispondiEliminaPersonalmente, letto il testo, non mi interessa molto il rapporto dello stesso con l'autore. Credo che il testo debba sapersi far leggere (almeno, questa è la mia personale opinione)a prescindere dall'autore. Questo lo fa.
Ciò detto, su un piano generale, devo dire che non faccio follie per le storie autobiografiche. Penso in effetti che una delle cose che non mi piacciono della narrativa contemporanea sia l'eccesso (non certo la presenza, l'eccesso) di un "io, io io" ripetuto troppo. Ma qui sto parlando in generale, non del testo.
Ciao Patty,
RispondiEliminala parola diario non mi turba affatto, anzi devo dirti che ne ho ben tre, due di quando ero ragazza e uno da adulta dove scrivo rigorosamente a mano i miei pensieri. Infatti non me la sono presa affatto per questo, mi ha leggermente "dico leggermente" infastidita che tu abbia detto che entravo nel blog ed arrivavano tarallucci e vino. Lo so che tu hai una modalità di scrittura diversa dalla mia, che rispetto e come vedi, quando al Cdp inserisci una poesia e mi piace, la commento bene anche se tu con me non lo fai. A me non interessa questo, vivo la mia passione per la scrittura a modo mio, quindi penso che ognuno abbia la sua idea, non si può piacere a tutti.
Con questo chiudo il discorso e andiamo avanti come sempre, nel rispetto degli altri e dire le proprie idee con sincerità. Non amo polemizzare, quindi la fetta di torta per te rimane! Ciao e buona notte.
aspetta aspetta...vedo che qui non ci siamo proprio...la mia era una battuta, una semplice battuta che mi è venuta seguendo il dialogo tra te e Scollo. Se ti sei offesa, ti chiedo scusa. Che non vada pazza per la tua scrittura, come per quella della stragrande maggioranza degli scrittori dilettanti (se sono dilettanti e non affermati un motivo ci sarà no?? A parte rarissime voci che si distinguono, ma proprio rare), come pure per la mia, non vedo perché farne un dramma oppure scambiare questo per idiosincrasie personali. Mah...io non ce l'ho con nessuno, né qui né al club, e ci mancherebbe pure.
RispondiEliminaCiao Patty,
RispondiEliminaanche tu probabilmente non mi conosci, ci vuole proprio tanto per farmi arrabbiare, soprattutto senza un motivo valido. La vita mi ha già dato la sua parte di negatività, ora vivo serena (sarà anche l'età), non mi credo nessuno e scrivo solo per passione, accetto quando si dice che quello che propongo non piace, ci mancherebbe altro e se ho avuto riconoscimenti (diversi da quelli del Club, che comunque è una buona scuola, soprattutto per le critiche), sono sempre rimasta con i piedi per terra, fa parte probabilmente del mio carattere e di quella bambina che ho conosciuto in treno. Non ti preoccupare assolutamente, non mi sono arrabbiata, anzi ti mando un abbraccio affettuoso. Rita
Perché, al CdP ci sarebbero pure degli scrittori professionisti e affermati?
RispondiEliminaDi certo so che i migliori, e parlo di gente come: Joshua, Epitteto, Alleluhia, Dragonero, Scollo, Vettorello, SagiDa, PaleS, Pilippo, ed altri che al momento mi sfuggono, si siano affermati in altri campi, nella vita. Di scrittura, forse, ce ne saranno due o tre,per il resto siamo tutti appassionatamente "dilettanti"
Ciao Patty, hai fatto nomi del Club che io adoro, soprattutto Allelhuia e lei lo sa. Ho una stima grande e mi hanno aiutata a crescere. Comunque non ho mai pensato di essere un poeta, ma solo una che scrive le sue emozioni. Rita
RispondiEliminaCiao Rita, sai scrivere molto bene, ma il genere non mi appassiona, però ho apprezzato molto la linearità del testo e la fluidità, Spero di leggerti ancora, in nuove situazioni.
RispondiEliminaBuongiorno a tutti, il mio grazie questa mattina va a Rubrus e Chiara per i loro commenti. Mi ha fatto piacere il vostro passaggio e sicuramente con i miei tempi andrò a leggervi, ho sempre piacere di farlo, quello che mi manca è proprio il tempo per farlo e Franco lo sa!
RispondiEliminaRita
Per Mauri: prrrrrr, comunque grazie per non avermi nominata!
RispondiEliminaBaci