ASPIRAZIONE
21/05/2013
etichetta: la stanza di Rubrus
«Scusi
ma…lei è Steven Allan Phillips?»
SAP
allargò la dentatura nel “sorriso da conferenza” che sua moglie odiava tanto.
Un
fan. Proprio davanti a lui. Proprio adesso.
Beh,
il lavoro è lavoro, dopotutto. E poi, negli ultimi tempi (no, negli ultimi
anni) non ci sarebbe mai stato un adesso adatto, quindi tanto valeva togliersi
il dente ed il dolore.
Annuì,
in risposta.
L’uomo
sorrise a sua volta, con l’espressione che avrebbe potuto avere un toporagno
dopo aver catturato un insetto particolarmente gustoso.
Era
un individuo lungo e magro, del tipo che fa sembrare oversize qualunque capo di
abbigliamento. La giacca gli penzolava dalle spalle come se fosse appesa ad una
gruccia, mentre la camicia si disponeva in ampi svolazzi su un ventre
inesistente.
Come
se non bastasse, un enorme naso che definire “aquilino” sarebbe stato una
litote, ombreggiava due labbroni curiosamente rossi e turgidi in tutto quel
corpo rinsecchito.
«Mi
sembrava di averla riconosciuta, sa?»
La
voce era piuttosto profonda (e ci si domandava da quale cavità nascosta in quel
petto magro potesse mai nascere) ma non gradevole, ad un ascolto più attento.
Polverosa.
L’aggettivo
balzò alla mente di SAP in una subitanea rivelazione. Gli balenarono alla mente
vasti deserti, antichi ed ostili dove un vento assassino sibilava incessante
tra le dune.
SAP
catturò l’immagine con un guizzo improvviso e l’archiviò nel suo cervello, là
dove, gelosamente, custodiva gli spunti per il romanzo che, temeva, non avrebbe
mai scritto. Simili intuizioni, ormai, erano sempre più rare.
«Ho
visto la sua foto sul retro di copertina – proseguì l’uomo – ho letto molti
suoi libri, ma in edizione tascabile e quindi la sua foto non c’è sempre. E
poi, se posso permettermi, in foto sembra molto più giovane».
«Bè,
quelle tascabili sono edizioni di vecchi romanzi e le foto risalgono a quel
periodo. Il tempo passa».
Già.
E io non sono più giovane. Sono stato giovane a lungo, ma, alla fine, ho dovuto
cedere. Non sono più quell’uomo. Quell’uomo era un’altra persona che ha cessato
di esistere tanto, tanto tempo fa.
«Naturalmente
– si scusò quasi l’uomo – ma, sa, io compro solo tascabili, per ragioni di
spazio. Viaggio molto ed ogni centimetro della borsa è stipato fino
all’inverosimile».
Commesso
viaggiatore. Lo supponevo. Tavole calde, lunghi viaggi freddi, interminabili
notti solitarie in camere d’albergo, dove nessuno viene a fare compagnia al tuo
naso enorme ed alle tue spalle da spaventapasseri. Non deve essere facile
neanche per te, amico, così prendi in prestito i demoni di qualcun altro,
noleggiandoli di seconda mano per quale centesimo e, in loro compagnia, ti
consoli illudendoti che si possa stare peggio di quanto non stia tu.
«E
poi, costano meno – proseguì Nasone – fattore non trascurabile. È straordinario
quanto poco costi la mente di un uomo».
«Già»
convenne SAP. Forse la finirà qui. Ci sono due tipi di fan: i contemplativi ed
i salmodianti. I primi si beano della visione del loro idolo, i secondi
inanellano un rosario di litanie a lode perpetua della loro divinità. Spero che
tu appartenga alla prima categoria, Nasone. Non mi va di parlare. Voglio
guardare il buio che fugge fuori dal finestrino, dileguandosi verso la coda del
treno. Voglio il silenzio. Sarebbe la cosa più saggia, il silenzio.
Ma
l’uomo stava frugando nella borsa che aveva accanto. Le mani dalle lunghe dita,
simili a pallidi ragni, scomparvero nell’antro buio di tela e, dopo poco,
riapparvero tenendo imprigionato un occhio giallo, iniettato di sangue, che
fissava lo spettatore dal nero di una copertina.
OFFLIGHTINGS.
Il suo primo libro di racconti o, forse, il libro di qualcuno che un giorno,
senza neanche meritarlo, sarebbe diventato il grande Steven Allan Phillips,
come diceva il suo editore.
L’uomo
gli porse il romanzo e una biro.
In
fondo era giusto. Il devoto discepolo meritava un piccolo dono.
«A
chi…» chiese SAP.
«“Al
suo più antico ammiratore” andrà benissimo».
SAP
rimase un attimo con la penna sollevata, in una curiosa simmetria col
sopracciglio sinistro.
«NELL’OMBRA
– spiegò l’uomo – lo aveva pubblicato tre anni prima, sulla rivista letteraria
dell’università. Fu lì che lo lessi per la prima volta».
«Ha
frequentato la Crown? » chiese SAP rendendogli il libro.
«Non
come studente» rispose l’uomo, riprendendosi il volume. SAP notò che non aveva
avuto nemmeno bisogno di chinarsi in avanti; gli era bastato allungare il
braccio, senza neanche muoversi sulla poltrona.
Deve
avere una qualche forma di malattia. Credo che si chiami acromegalia. Arti
lunghi, sproporzionati. No, chiamali col loro nome. Deformi.
«In
ogni caso, devo ammettere che è ben informato sul mio conto».
«E
poi, naturalmente, c’è “IL VISITATORE NOTTURNO”. Il suo primo racconto».
SAP
trasalì. Come diavolo faceva, Nasone, a sapere de “IL VISITATORE NOTTURNO”? non
era inserito in OFFLIGHTINGS. Diamine, non era mai stato neppure pubblicato.
L’uomo
rimise il libro nella borsa. Non aveva neppure guardato la dedica.
«Un
esordio sorprendente – proseguì l’uomo – in sordina, come tutti gli esordi, ma
si poteva sentire la qualità di quell’esordio. Come un dito gelido lungo la
schiena».
Un’intervista
– pensò SAP – devo essermelo lasciato scappare in un’intervista. Diamine, Larry
mi costringe a dozzine d’interviste e non gli puoi mica propinare sempre la
stessa solfa. Così devo essermelo lasciato scappare. Non mi ricordo, ma deve
essere andata così. Che non me lo ricordi è possibile. Forse avevo alzato il
gomito. Già. Alzo troppo il gomito. Succede, quando devi far star zitto il
silenzio.
«Oh,
intendiamoci, anche gli altri racconti e romanzi non erano male, anzi, alcuni
erano davvero buoni… CROW TALES, OWL TALES, MOONKILLER, NOTES FROM THE DARK
SIDE, DARKNIGHT… ma, col tempo, si cominciava a percepire un’assenza, un venire
meno dell’energia… non è così sig. Phillips?».
Steve
annuì.
«Scrivere
ti ammazza – proseguì l’uomo – può rubarti la vita. Gli appassionati lo sanno…
e si aspettano che accada».
«Parole
sante» replicò SAP.
E
chi ti dice che sia un ammiratore?. Chi ti dice che sia innocuo? Può essere un
aspirante scrittore, rifiutato da tutte le case editrici, che ha sviluppato un
odio feroce verso gli autori di successo… verso di te.
SAP
si guardò intorno. Era un vecchio treno, con scomparti all’europea. Quando
doveva scrivere un romanzo, o quando doveva far credere di averlo fatto, SAP si
ritirava nel paesello di Lonefrost, poi, quando reputava che fosse trascorso
abbastanza tempo, prendeva il vecchio treno che, ogni venerdì sera, scendeva ad
Arkham. Gli piaceva quel treno cigolante e quasi deserto, che gli consentiva di
dare gli ultimi, definitivi colpi di penna al manoscritto… o almeno gli era
piaciuto sinora.
«Guardi
Poe. – proseguì l’uomo – Dipsomane. Non alcolizzato, come vorrebbe la versione
volgare, ma malato. Lovecraft: un misantropo, praticamente narcolettico, in
grado di dormire dodici, tredici ore al giorno. Howard, morto forse suicida a
trentatrè anni…».
No,
non è un serial killer di scrittori. Sarebbe un’idea banale. E poi, King ha già
scritto un romanzo molto simile.
«E
vogliamo parlare di come sono nate molte opere gotiche? IL VAMPIRO di Polidori,
per esempio. Il suo autore abbandonò la professione medica per dedicarsi alla
scrittura fino a rovinarsi, come vampirizzato dalla sua stessa creatura. LO
STRANO CASO DEL DOTTOR JEKYLL E DI MR HYDE. La moglie costrinse Stevenson a
distruggere il romanzo… e Stevenson lo riscrisse identico il giorno dopo.
FRANKENSTEIN, nato dall’incubo di un’adolescente sposa di un individuo certo
non rassicurante come Byron. E vogliamo dimenticare William Blake, o Thomas De
Quincey?... ma certo lei conosce tutto questo».
«Sì
– disse SAP – lo so. Lo sapevo».
Era
vero. Lo sapeva, da ragazzo, prima ancora di conoscere Poe, o Lovecraft, o
chiunque altro. Lo sapeva quando, di nascosto da sua madre, scriveva nottetempo
i suoi racconti a matita sul retro di fogli riciclati. Lo sapeva perché avrebbe
potuto fare a meno di mangiare, ma non di scrivere. Lo sapeva al punto di
procurarsi una tendinite ed una precoce, forte miopia che solo di recente i
progressi della scienza medica ed il suo conto in banca avevano curato. Lo
sapeva perché scrivere era un impulso più irresistibile della fame, più
affascinante della marijuana, più tentatore dell’alcool, più allettante del
sesso. Aveva ancora alcuni di quei racconti (grazie a Dio, se Dio aveva
qualcosa a che fare con queste faccende): praticamente, non c’erano
cancellature.
Alzò
lo sguardo verso Nasone. Certo, lo sapeva anche lui. Per questo glielo aveva…
(confessato).
Gli
occhi dell’uomo non si vedevano. Dovevano essere straordinariamente infossati
nelle orbite o, forse, il naso era così eccezionale da occultarli, nella
penombra tremolante dello scompartimento (da quando era così buio, lì dentro?
da quando si era fulminata la lampadina centrale che avrebbe dovuto illuminare
il viso del suo interlocutore?).
Certo,
da lì, nonostante la confessione, non sarebbe venuta alcuna assoluzione, né
alcun conforto.
«Lei
sa che cosa significa “ispirazione”, nel senso etimologico, vero? – continuò
l’uomo – enthusiasmos, dicevano i greci. Coi secoli, abbiamo rivestito la
parola di un abito rassicurante, ma, in pratica, la traduzione più giusta
sarebbe “possessione”».
SAP
sapeva anche questo.
Un
giorno un cronista gli aveva rivolto la solita, odiosa domanda: “Da dove prende
le sue idee?”.
SAP
era riuscito a trattenere l’impulso di schiaffeggiare l’idiota con la copia di
BLOOD SEEKER che aveva in mano ed aveva risposto: “Amico, sono le idee che
prendono te”.
«Il
suo ultimo romanzo?» chiese l’uomo, accennando al plico accanto a SAP.
Lui
annuì.
«Eh,
sì – proseguì l’uomo, con un sospiro – poi arrivano i primi successi, i diritti
cinematografici, i nuovi editor, le rate del mutuo, le conferenze, le
interviste, le scadenze, il numero di battute da scrivere, i giri promozionali…
non è quello il suo ultimo romanzo, vecchio mio. Non in senso cronologico».
«Temo
di sì» bisbigliò SAP. Il libro era di ventidue anni prima. La penosa
dilatazione di uno spunto scartato, un bluff giocato speculando su una rendita
che si faceva sempre più esigua.
«È
triste vedere consumarsi lo spirito di un uomo – disse la voce immersa
nell’ombra – i lettori lo sanno. Lo sentono. Li stai deludendo, Stevie. Ci stai
deludendo».
SAP
non disse nulla.
Presto
sarebbero arrivati ad Arkham. Sarebbe sceso alla stazione e, a piedi, si
sarebbe diretto all’albergo, ma, prima, avrebbe attraversato il ponte sul
Miskatonic. E da lì, se non avesse deciso di buttare sé stesso, avrebbe buttato
il suo romanzo. Il ragazzo che ventidue anni prima lo aveva abbozzato aveva
ragione. Non ne valeva la pena.
La
figura nell’ombra si mosse.
«Da
dove vengono, le idee, Steven Allan Phillips? – chiese – perché tu scrivi
romanzi horror, mentre altri scrivono gialli, romanzi d’amore, western,
fantasy, storici… - chi vi manda le idee?».
Il
suo più antico ammiratore si alzò.
Era
altissimo, assurdamente alto, e storto, come e più dell’ombra deforme che
proiettava alle sue spalle e che sembrava essere l’ombra di qualcun altro… o di
qualcos’altro.
Si
chinò su di lui e, per un istante, mentre quel naso impossibile gli si
avvicinava ed i labbroni vermigli si protendevano, SAP ebbe l’assurda
impressione che volesse baciarlo. Parlò e la sua voce era davvero un antico
bisbiglio assassino, filtrato dai neri, gelidi deserti tra le stelle.
«È
un vero peccato, Steve. – disse – Avevamo investito parecchio su di te. Ti
abbiamo mandato un sacco di pensierini felici, ma è evidente, ormai, che
sarebbero sprecati… così abbiamo deciso di riprenderceli».
Si
abbassò ancora.
Rick
non capiva sua moglie.
Era
la donna più dolce e timida del mondo eppure leggeva quella roba.
Guardò
la copertina del libro che aveva in mano. DARK TIMES, di Steven Allan Phillips.
Rick
aveva scorso qualche pagina. Una setta assassina, che si ispirava ai sacerdoti
dell’antico Egitto, uccideva le sue vittime strappando loro il cervello dal
naso con un uncino, come si faceva con le mummie.
Roba
da depravati.
Ma
SAP era su quel treno, così, quando sua moglie lo aveva saputo, lo aveva
pregato di scendere, comprare quel romanzo in una libreria di Dunwich e lo
aveva implorato di chiedere a Phillips di scriverle una dedica.
E
lui stava per farlo perché, dopotutto, Valerie era la donna più dolce e timida
del mondo.
E
poi, stavano per arrivare, così SAP non se la sarebbe presa a male.
Rick
bussò, trattenne il fiato e, senza attendere risposta, entrò nello
scompartimento.
E
nel romanzo.
SAP
giaceva riverso con gli occhi spalancati e la testa reclinata ad un’angolazione
impossibile sullo schienale.
Il
naso era aperto in due e le narici slabbrate pendevano in lembi vermigli lungo
il viso esangue.
Dallo
squarcio che aveva preso il posto del setto nasale gocciolavano alcuni residui
di una sostanza roseo – grigiastra.
Accanto
a lui c’era un plico strappato, dove rimanevano alcuni fogli.
Gli
altri, candidi come albatros, svolazzavano ovunque nello scompartimento e poi,
ad uno ad uno, volavano fuori dal finestrino aperto, nel buio.
(luglio
2009)
Come al soltio i tuoi racconti sono magnetici: non riesci a staccare gli occhi fino alla fine! Bello e inquietante! Bravo Rubrus, riesci ad appassionare con la tua scrittura scorrevole e molto accurata, è un vero piacere leggerti.
RispondiEliminaGrazie! pensa che la stesura originale di questo racconto risale al '98. Nel 2009 - come si legge in fondo - l'ho riscritto (ma non troppo) e ripubblicato. Mi fa molto piacere che si dica che il racconto per come è scritto invogli a terminare la lettura. in effetti è ciò cui aspiro.
EliminaDove nascono le nostre idee? Bella domanda Rubrus
RispondiEliminaDove traiamo la nostra ispirazione per scrivere, e perché alcune persone dolci e miti scrivono e leggono horror.
Insomma un racconto che si sviluppa tra i dialoghi di uno scrittore e la sua cattiva coscienza o una figura non meglio identificata.
Che Stephen fosse il nome di King, cioè del tuo scrittore preferito ci sono arrivato subito e per associazione, Allan da Poe e Philip da dove arriva, da Lowercraft? Io non sono un grande lettore di questo genere ma posso immaginare che nel racconto molte siano le citazioni e numerosi i riferimenti ai classici del genere horror.
Va be’, in ogni caso un bel leggere. Sai il fatto tuo, con la penna ci sai fare veramente, la fantasia non ti manca, a quando il grande romanzo?
Steven (o meglio Stephen) King, Edgar Allan Poe ed Howard Phillips Lovecraft sono i tre autori che ho "fuso" nel personaggio.
RispondiEliminaLa città di Arkham (come quella di Dunwich) è una città immaginaria creata da Lovecraft e si trova nel suo New England immaginario (oggi diremmo "virtuale"), proprio come le città di Derry e Castle Rock create da King.
Il paesino di Lonefrost (anch'esso immaginario) è quello dove (ehm...) ho ambientato "La cosa dietro la porta" ed altri racconti. Mi sono citato addosso, lo so, ma solo per prendermi in giro.
Il passeggero è, nella mia immaginazione, una incarnazione di Nyarlathotep, divinità immaginaria creata da Lovecraft (per più dati si può anche consultare wikipedia) il cui scopo è diffondere la follia sulla terra (il discorso sarebbe più complesso, ma lo riservo ai fan di HPL).
L'idea del processo creativo come veicolo per forze in senso lato "magiche" e quindi anche soprannaturali è presente in tantissima parte della letteratura fantastica (King in testa, ma dietro di lui tantissimi).
La domanda "da dove vengono le idee" è banalotta, ma in fondo non ha risposta.
Il racconto è nato dall'idea che, se esiste una "ispirazione" potrebbe esistere il suo opposto. L'"aspirazione" appunto.
Non mi dire che aspiri di raggiungere la meta della fuoriuscita del cervello dal naso slabrato, Rubrus! :-)))
RispondiEliminaAl di là delle battutacce, il tuo racconto è avvincente.
Curato nei minimi dettagli ti conduce alla fine, certo fiutabile, ma in maniera piacevole, fluida, direi argutamente studiata.
Un bel racconto, tanto per riassumere.
Ah guarda, se non si è capaci di prendersi un po' in giro da soli...
EliminaCiò detto, la genesi del racconto è semplicissima e cioè dal "rovesciamento" del concetto di "ispirazione" in "aspirazione".
Il resto consegue, più o meno.
Per gli amanti del genere.
RispondiEliminaIn verità non avevo mai letto alcunchè di similmente cervellotico.
Non so se mi sono perso qualcosa.
Certo è che l'incastro < incastra > la curiosità.
Una semplice lettura d'evasione o dentro c'è di più?
Purtroppo anni e anni di studio metodico hanno ucciso la mia fantasia e qui ce n'è da vendere.
Adesso so che passerò l'ultimo spicchio di vita assalito dal dubbio se sia stato un bene oppure un male.
Una cosa è certa: che non saprò mai scrivere così bene.
Uno stile personalissimo, per certi versi complicato, come si conviene ad una trama complicata.
Siddharta
Eh eh eh... se è per questo ho elaborato trame più complesse.
RispondiEliminaQuanto poi alla letteratura d'evasione, a volte (a volte...) contiene concetti profondi senza farli cadere dall'altro, mentre, all'opposto, certa (certa...) letteratura impegnata enuncia, sotto i paludamenti, banalità da bar sport.
Se stile e trama si combinano, sono contento.
Davvero bravissimo, gran classe qui dentro, bella inventiva, misura (formidabile gestione dell'ironia) e gran capacità di dominare il testo da ogni punto di vista.
RispondiEliminaTutto ciò detto da uno che non ama il genere e nemmeno ci si è mai troppo avvicinato (ma questo, chiamarlo horror o splatter, o giù di lì, mi pare estremamente riduttivo, anzi non corretto).
Insomma, solo complimenti.
Franco "Pale"
penso che per scrivere un buon racconto horror (non dico che questo lo sia) si deve scrivere un buon racconto. Se poi parla di tematiche che hanno al centro oppure utilizza la paura, allora avremo un racconto horror.
EliminaTi ringrazio.
la lettura del tuo racconto è stata molto piacevole, sei molto bravo a scrivere e a creare la giusta suspance, riga dopo riga aumenta la curiosità di vedere rivelato il "mistero" del Nasone.
RispondiEliminaBravo
buongiorno a tutti
Ti ringrazio. In realtà i lettori di Lovecraft non hanno fatto fatica (dico così perchè l'ho già pubblicato altrove) ad individuare chi è il "nasone", ma non è a loro che parlo, bensì agli altri.
EliminaL'impianto del racconto è però "alla King", non "alla Lovecraft". La leggibilità, se c'è, penso derivi dal Re.