TRA CREPUSCOLARISMO E FUTURISMO
Poesie di
ARDENGO SOFFICI
GIAN PIETRO LUCINI
GIAN PIETRO LUCINI
5/06/2013
etichetta : Poeti del 900 italiano
ARDENGO SOFFICI (1879 – 1964)
Ardengo
Soffici, cioè una delle intelligenze più vivide delle gloriose avanguardie
storiche della letteratura italiana ed europea. Si maturò immergendosi a lungo
in quel crogiolo culturale che fu a quei tempi Parigi. Pittore qual era, aspirò
sempre a realizzare una poesia visiva, portando all’estremo quella aspirazione
a creare poesia combinando in modo diverso le righe di stampa e i caratteri che
già in Francia aveva sperimentato Apollinaire chiamandoli, Calligrammi.
POESIA
Un
solo squillo della tua voce senza epoca e tutte le
gioiellerie
di questo crepuscolo rassegnato in pantofole si
mettono
a lampeggiare creando un gioco nuovo
Un'ala
inzuppata d'azzurro tacita gli spleens il nero-
fumo
di tante ritirate prima del corpo a corpo fuori de'
geroglifici
delle metafisiche acerbe
Si
direbbe che non siamo mai morti Questi pallidi
vermi
sarebbero dei capelli biondi e le vecchie ironie una
menzogna
di rèclames fiorite sui muri del sepolcro
Un
solo giro dei tuoi occhi d'oro (non parlo a una
donna)-e
addio dunque l'aspettativa di riposo e il tramonto
metodico
e la saggezza diplomatica delle
liquidazioni
amorose
Di
nuovo eccoci fra la gioventù de'verdi infranti
de'frascami
stemperati nelle nudità primitivismo abbrividito
lungo
queste striature d'acque rosa e blu rifluenti a un riflesso
di
mammelle e di sole in un diluvio di violette gelate
Le
luci le sete l'elettricità degli antichi sguardi idilli
irreperibili
dimenticati co'vini e i paradossi Scienza laboriosa!
arcobaleno
che rotea e ronza con una diffusione di
prismi
come nelle creazioni
Si
ricomincia Città campagne e cuore E'la vita
davvero
A quando la fanfara idiota delle fantasmagorie in
maschera
nel trotto buio delle diligenze?
Addio
mia bella addio
O non
è ancora che una farsa povera nello scenario a
perpetuità
delle stelle oscillanti su questa casa d'illusioni
creduta
chiusa e aperta forse a tutto?
ARCOBALENO
Inzuppa
7 pennelli nel tuo cuore di 36 anni finiti ieri 7 aprile
E
rallumina il viso disfatto delle antiche stagioni
Tu hai
cavalcato la vita come le sirene nichelate dei caroselli da fiera
In
giro
Da una
città all'altra di filosofia in delirio
D'amore
in passione di regalità in miseria
Non
c'è chiesa cinematografo redazione o taverna che tu
non
conosca
Tu hai
dormito nel letto d'ogni famiglia
Ci
sarebbe da fare un carnevale
Di
tutti i dolori
Dimenticati
con l'ombrello nei caffè d'Europa
Partiti
tra il fumo coi fazzoletti negli sleeping-cars diretti al
nord
al sud
Paesi
ore
Ci
sono delle voci che accompagnan pertuttto come la luna e
i cani
Ma
anche il fischio di una ciminiera
Che
rimescola i colori del mattino
E dei
sogni
Non si
dimentica nè il profumo di certe notti affogate nelle
ascelle
di topazio
Queste
fredde giunchiglie che ho sulla tavola accanto all'inchiostro
Eran
dipinte sui muri della camera n.19 nell'Hotel
des
Anglais a Rouen
Un
treno passeggiava sul quai notturno
Sotto
la nostra finestra
Decapitando
i riflessi delle lanterne versicolori
Tra le
botti del vino di Sicilia
E la
Senna era un giardino di bandiere infiammate
Non
c'è più tempo
E'un
verme crepuscolare che si raggricchia in una goccia
di
fosforo
Ogni
cosa è presente
Come
nel 1902 tu sei a Parigi in una soffitta
Coperto
da 35 centimetri quadri di cielo
Liquefatto
nel vetro dell'abbaino
La
Ville t'offre ancora ogni mattina
Il
bouquet fiorito dello Square de Cluny
Dal
boulevard Saint-Germain scoppiante di trams e d'autobus
Arriva
la sera a queste campagne la voce briaca della
GIORNALAIA
Di rue
de la Harpe
"Pari-curses""l'Intransigeant""la
Presse"
Il
negozio di Chaussures Raoul fa sempre concorrenza alle
stelle
E mi
accarezzo le mani tutte intrise dei liquori del tramonto
Come
quando pensavo al suicidio vicino alla casa di
Rigoletto
Si
caro
L'uomo
più fortunato è colui che sa vivere nella contingenza
al
pari dei fiori
Guarda
il signore che passa
E
accende il sigaro orgoglioso della sua forza virile
Ricuperata
nelle quarte pagine dei quotidiani
O quel
soldato di cavalleria galoppante nell'indaco della
caserma
Con
una ciocchetta di lillà fra i denti
L'eternità
splende in un volo di mosca
Metti
l'uno accanto all'altro i colori dei tuoi occhi
Disegna
il tuo arco
La
storia è fuggevole come un saluto alla stazione
E
l'automobile tricolore del sole batte sempre più invano
il suo
record fra i vecchi macchinari del cosmo
Tu ti
ricordi insieme ad un bacio seminato nel buio
Una
vetrina di libraio tedesco Avenue de l'Opera
E la
capra che brucava le ginestre
Sulle
ruine della scala del palazzo di Dario a Persepoli
Basta
guardarsi intorno
E
scriver come si sogna
Per
rianimare il volto della nostra gioia
Ricordo
tutti i climi che si sono carezzati alla mia
pelle
d'amore
Tutti
i paesi e civiltà
Raggianti
al mio desiderio
Nevi
Mari
gialli
Gongs
Carovane
Il
carminio di Bomay e l'oro bruciato dell'Iran
Ne
porto un geroglifico sull'ala nera
Anima
girasole il fenomeno converge in questo centro di danza
Ma il
canto più bello è ancora quello dei sensi nudi
SILENZIO
MUSICA MERIDIANA
Qui e
nel mondo poesia circolare
L'oggi
si sposa col sempre
Nel
diadema dell'iride che s'alza
Siedo
alla mia tavola e fumo e guardo
Ecco
una foglia giovane che trilla nel verziere difaccia
I
bianchi colombi volteggiano per l'aria come lettere
d'amore
buttate dalla finestra
Conosco
il simbolo la cifra il legame
Elettrico
La
simpatia delle cose lontane
Ma ci
vorrebbero della frutta delle luci e delle moltitudini
Per
tendere il festone miracolo di questa pasqua
il
giorno si sprofonda nella conca scarlatta dell'estate
E non
ci son più parole
Per il
ponte di fuoco e di gemme
Giovinezza
tu passerai come tutto finisce al teatro
Tant
pis Mi farò allora un vestito favoloso di vecchie affiches
AEROPLANO
Mulinello
di luce nella sterminata freschezza zona elastica della morte
Crivello
d'oro girandola di vetri venti e colori
Si
respira il peso grasso del sole
Con
l'ala aperta W Spezia 37 sulla libertà
La
terra ah!case parole città
Agricoltura
e commercio amori lacrime suoni
Fiori
bevande di fuoco e zucchero
Vita
sparsa in giro come un bucato
Non
c'è più che una sfera di cristallo carica di silenzio
esplosivo
enfin
Oggi
si vola!
C'è un
allegria più forte del vino della Rufina con l'etichetta del 1811
E' il
ricordo del nostro indirizzo scritto sul tappeto del mondo
La
cronaca dei giornali del mattino e della sera
Gli
amici le amanti e perpetuità il pensiero strascinato
nei
libri
E le
mille promesse
Cambiali
in giro laggiù nella polvere e gli sputi
Fino
alla bancarotta fraudolenta fatale per tutti
Stringo
il volante con mano d'aria
Premo
la valvola con la scarpa di cielo
Frrrrrr
frrrrrr affogo nel turchino ghimè
Mangio
triangoli di turchino di mammola
Fette
d'azzurro
Ingollo
bocks di turchino cobalto
Celeste
di lapislazzuli
Celeste
blu celeste chiaro celestino
Blu di
Prussia celeste cupo celeste lumiera
Mi
sprofondo in un imbuto di paradiso
Cristo
aviatore era fatto per questa ascensione di gloria
poetico-militare-sportiva
Sugli
angoli rettangolari di tela e d'acciaio
Il
cubo nero è il pensiero del ritorno che cancello con
la mia
lingua accesa e lo sguardo di gioia
Dal
bianco quadrante dell'altimetro rotativo
Impennamento
erotico fra i pavoni reali delle nuvole
Capofitto
nelle stelle più grandi color rosa
Vol
planè nello spazio-nulla
***
GIAN PIETRO LUCINI
(Milano,
1867 – Villa di Breglia, Plesio, 1914)
Anche
Lucini passò attraverso l’esperienza della scapigliatura, pur se si trattò di
una scapigliatura ormai superata, defunta; ma da quell’esperienza derivò un
umore ghibellino, anticlericale, antimilitarista, feroce e implacabile che non
lo abbandonò mai. Divenne quando fu il momento, futurista, ma di un genere
particolare, che rifiutava ogni avventura militarista. Ebbe rapporti con eroi
nazionalisti che andavano allora di moda e fu con essi spietato. Nel 1901,
l’anno del manifesto futurista, pubblicò una raccolta di liriche che ebbe come
titolo, Revolverate, e fu tale che si contrappose come salvezza, nei confronti
di tutti i futurismi compromessi con il nazionalismo di moda.
PER
CHI?
Per
chi volli raccogliere
questo
mazzo di fiori selvaggi
stringerli
in fascio nel gambo spinoso ed acerbo?
Tutti
i fiori vi sono di sangue e di lacrime
raccolti
lungo le siepi delle lunge strade;
dentro
le forre delle boscaglie impervie;
sui
muri sgretolati delle capanne lebbrose;
lunghesso
i margini che lambe e impingua
il
rivolo inquinato dai veleni.
decorso
dal sobborgo alla campagna.
Tutti
i fiori vi son, che, pei giardini urbani e decaduti,
tra le
muffe e i funghi, s’ammalan da morirne,
e gli
altri che sboccian sfacciati e sgargianti,
penduli
al davanzale d’equivoci balconi meretrici:
tutti
i fiori cresciuti col sangue e colle lacrime ai detriti.
Per chi
io canto questi fiori plebei e consacrati
dal
martirio plebeo innominato,
in
codesto sdegnoso rifiuto di prosodia,
per
l’odio e per l’amore,
per
l’angoscia e la gioia,
e pel
ricordo e la maledizione,
per la
speranza acuta alla vendicazione?
Ed è
per voi, acefale ed oscure falangi,
uscite
da un limbo di nebie e di fiumi,
tra il
vacillar di fiamme porporine, in sulla sera,
da
portici tozzi e sospetti di nere officine?
ed è
per voi, pei quali non sorride il sole,
schiavi
curvi alla terra, che vi porta,
e rinnovate
al torneo dell’armata,
ma non
vi nutre, vostra?
ed è
per voi, pallide teorie impietosite
di
giovani, di vecchie e di bambine
inquiete
tra la fède e i desiderii,
tra la
tentazione della ricca città
e il
pudor permaloso della verginità?
Per
chi, per chi, questa lirica nuova,
che
bestemmia, sorride, condanna e sogghigna,
accento
sonoro e composto dell’anima mia,
contro
a tutti, ribelle e superbo,
in
codesto rifiuto imperiale d’astrusa prosodia?…
L’ORA
MORBIDA
Languidezze!
Ristagnan nella mente
dell’intime
domande senza fine…
Vidi
poc’anzi brillar pigramente
dei
paludi; morienti e resupine
delle
coppe rosate in queste lente
acque
annegarsi... Poi, vicine,
tenendosi
per man’, l’iridi intente
a
quanto io non vedeva, tre Bambine
passaron
sulle rive; e han fatto gesti
al
cielo paurosi! E piú lontano
la
minore diè un grido. Oh, tra i canneti,
a
grovigli, dei serpi verdi e presti
guizzare
e svincolarsi!... Oh nel pantano
della
mente i sospetti, ed i secreti!
(da Il libro delle Imagini Terrene, 1898)
Il
Gallo canta ancora per tutto il vicinato
il suo
rosso peccato sobillatore.
Grida:«Chiricchichì,
sono la turbolenza
tra i
timidi animali;
ho
rejetto le greppie officiali,
che ci
impinguano, ma che ci evirano.
Mi
rifiuto alla pentola borghese;
sfoggio
queste pretese d’insegnare il mio canto
a
tutti quanti. Grassa truppa mi fa d’avvisatore,
epe
tonde e spaventate
si
rivoltano dentro allo strame.
Ma il
mio duro corpaccio
vi sta
inanzi ad impaccio.
Che mi
direte un dì,
se
dietro alla fanfara del mio chiricchichì
procederà
una schiera di Galletti
ribelli,
indomiti e schietti?
Io son
fiero e tenace cantatore,
son
l’instancabile vigilatore,
avviso
di lontano, il nibbio, la faina, la volpe, il traditore;
noto e
bandisco le colpe d’altrui;
guerriero
senza macchia, forse donchisciottesco,
trombetto
all’aer fresco la diana;
porto
corazza, gorgera e cimiero,
sproni,
e, nel rostro, lucida partigiana;
e
piume rosse e nere».
• Da:
Favoletta di un gallo.
Conosco
l’Imbecilli delle Antologie, colle malinconie
di
castrare le statue e le liriche,
e di
sciupare, nella melma, i fiori.
Ho
visto l’Imbecille a discutere Iddio
senza
averlo cercato ne’ fornelli chimici.
Ho
visto molti Imbecilli canori come sciacalli
che
giuocavan, sui dadi, la prima nota e l’ultima
di
certe canzoni peregrine non composte ancora.
Ho
visto l’Imbecilli letterati, spudorati
per le
loro sciocchezze, menarne vanto,
come
un incanto d’errori di sintassi e di gramatica.
Ho
visto l’Imbecille al Finimondo,
l’Imbecilli
politici, statisti e arringa-popoli,
sfacciati
ed imprudenti, stolti e paralitici.
Tra
l’Imbecilli e i Coccodrilli è poca distinzione:
la
Storia Naturale spiega il Natale
dell’una
e dell’altra bestia:
dal
fango delle inondazioni.
L’Imbecilli
si soffiano il naso:
noi
non siam persuasi della loro onestà.
Soffiansi
il naso ed asciugansi l’occhi:
queste
lustre alli sciocchi fanno di sicurtà.
Piangono
l’Imbecilli; non ci credete;
la
cattiveria tira le cuoja all’ignoranza,
ma
sopra a quanto avanza,
combinano
un grazioso giuocherello;
preparano
il giubbetto a chi diffida,
al
rosso farsetto
stiran
le vertebre.
L’Imbecilli
hanno il catarro:
essi
aggiogano al carro, invece de’ pazienti buoi,
l’eroi
dell’a venire.
Ho
veduto dei grandi Imbecilli
girar
poc’anzi a stuolo per il mio paese,
molte
pretese sciorinando al Sole.
Ho
veduto l’altr’jeri a concistoro in un palazzo antico
molti
Imbecilli foggiare un intrico contro il Pensiero.
Ed ho
veduto un Generale ameno
ricondurre
il sereno sulle tombe
col
buon ajuto della cannonata,
beata
partecipazione del moschetto alla galera,
lezion
buona e severa a chi verrà.
.................................
L’Imbecille
è crudele.
Bestia
rara! Le più rare s’accovaccian dentro all’are,
le
preclare vanno a torno a buggerare,
le più
care sono preste a malignare,
le più
avare danno fondo al fondo mare.
Ora il
mar, che fan seccare, stenta un poco a preparare
funerali
e bare; ma verrà, quando verrà, la calamità.
Piangeranno,
grideranno! Chi sa quanti in quel mattino
strilleranno
in un cantuccio, per la triste avversità.
Poco
furbi, o troppo tardi?
Per
colmare la tormenta si saran raccomandati
alla
comoda prudenza dei cerotti immostardati
dai
magni economisti gagliardi e liberisti.
• Da:
Nuova ballata in onore delli Imbecilli di tutti i Paesi.
Tutta roba che non fa per me, che sono di fattura ottocentesca...
RispondiEliminaSid
Pazienza, registriamo il tuo "noncipiace" e francamente, nemmeno a me piacciono poi così tanto, ma che dobbiamo fare, cancellarli dalle antologie? Far finta che non siano mai esistiti? E' una raccolta di poeti del novecento e hanno tutto il diritto di trovare spazio in questi post.
EliminaNaturalmente.
EliminaSid