Urna di vetro
dietro la porta, seduto tra le ante
della piccola bussola. -
tutta la botanica del creato
- di là dai vetri, è ridotta a un vialetto
con una quercia, i cedri,
e due emerocallidi.......
(segue)
Pier Luigi
Bacchini è nato a Parma nel
1927 dove ha vissuto fino al 1994.
Ora abita in
campagna, nei pressi di Medesano (Parma). Ha pubblicato i libri di poesia Dal
silenzio d'un nulla Canti familiari (De
Luca, Roma, 1968), Distanze fioriture (La Pilotta, Parma, 1981), Visi e foglie
(Garzanti, Milano, 1993, Premio Viareggio), Scritture vegetali (Mondadori,
Milano, 1999, Premio S. Pellegrino 2000).
Suoi versi sono stati editi nell'Almanacco dello Specchio (1978),
e in varie riviste, fra cui “Paragone,
“Nuovi argomentie e “Kamen,
oltre che in diverse antologie, fake rolex watches tra cui Il pensiero dominante,
a cura di Franco Loi e Davide Rondoni (Garzanti, 2001) e Terra gentile, aria
azzurrina, a cura di Daniela Marcheschi (Einaudi, 2002).
Nel 2003 ha
pubblicato anche un'opera narrativa, "L'ultima passeggiata nel
parco". Poeta appartato per
antonomasia, definito da qualcuno lucreziano per la costante presenza della
natura nei suoi versi, una natura a tratti metafisica e oracolare, a tratti
osservata con una acutezza classificatoria da scienziato, ma comunque sempre
mondo a cui apparteniamo, in modo perfino religioso e animalesco insieme,
Bacchini è poeta di stile e di purezza, di sostanza e leggerezza, in cui il
lirismo perde gioiosamente il suo tanto deprecato -ismo.
Urna di vetro
dietro la porta, seduto tra le ante
della piccola bussola. -
tutta la botanica del creato
- di là dai vetri, è ridotta a un vialetto
con una quercia, i cedri,
e due emerocallidi.
I godimenti di una volta,
quando l'organismo era me stesso
secondo il desiderio - tutta la materia, credo,
vibri così, trascorsa dalla vita,
anche gli antri aridi dei vulcani, quando fuoriescono
le lave che si consolidano, e che s'imponga sempre la giovinezza
per i canalicoli seminali.
Come può darsi
che uno come me, senza castità,
possa un giorno salire sino a un eremo,
distaccarsi in preghiera, esalarsi di sera
se non nel maggio, trascinando con sé un'intera foresta
e la volatile polvere dei suoi profumi,
che apre le bocche dappertutto
per nutrimento, per amore?
Questa è un'urna di vetro - ma all'esterno
le generazioni metodiche delle ombre
si spostano, e un tepore penetra il legno,
dà sussulti, scotimenti, moti
d'atomi:
e anche le parole sono fiato, soglia dell'audiogramma,
energia-materia
Non
doratevi, già segretamente aurate
non
arrugginite, non raggrinzite
quanto un
piccolo pugno,
disseccato;
restate sempreverdi
finte
immortali, simili all'altamente profumata
- e nemmeno
sfrangiata
di fronte al
vento, coriacea e lucente -
alla regale
magnolia, con i semi amaranto;
o alle
conifere montane
le antiche
cenozoiche.
Non
diventate trasparenti, sempre più,
telari lisi
già scarse
nel mese d'ottobre,
con
nostalgie infinitesimali, un po' indeterminate
come i
fischi d'un treno distante
e collegi là
in fondo, dentro la foschia
- spazzini
sotto muretti erbati,
irrealtà,
quasi un disturbo visivo
che
nell'intimo spaventa
con
l'immagine talvolta
che la
materia
d'improvviso
scompaia.
i delicati
intrecci,
gl'inudibili
crepitii particellari
sarebbero
stati inutili: lo sperpero
d'un Dio, la
sua noia.
E ogni
minimo sgretolamento, tipo il trascurabile uragano,
il ferro
sciolto nel magma,
dicono la
fatica
dall'origine
e la
tremenda concretezza del mondo,
- senza via
di scampo per noi.
Il tacchino
Il piccolo
cranio calvo,
muso di
vecchio,
scorticato e rosso.
Cacciatore
di vipere e dunque
difensore di
noi tutti.
Adunco.
Roco.
Strumento di battaglia
emulo
sconfitto del pavone
gallopavo
dalla boria
pneumatica.
O
condoruccio di terra
dal
gorgozzule pendente,
o
bitorzoluto di bacche sanguigne,
grande onore
ci fa
la tua
verruca erettile
e la lunga
processione con le vesti candide
per i prati
verdi.
Da “POESIE
1954 – 2013″
TRIPUDIO
e sono le
gemme del glicine violetto che porta
sensi di
donna nei vecchi giardini. Verdi
accartocciate
ma già
s'aprono in piccoli ventagli
ormai
s'aprono irrefrenabili. E le punte
le corte
lingue appena arcuate
le rose dei
muri. E altre.
Altre.
Capezzoli
dove sono i
morti
la sostanza
della morte
in minimi
peni
lievi barbe
piccole
pelose.
Sì tra le
dita
per una
voglia d'amore
che esalta
l'ho stretta
schiacciata tutto il succo
gommoso che
odora
sui
polpastrelli
di glutine
di morte.
Di vita.
Rompe dallo stecchito inverno
e rombano le
gonadi della terra.
Niente è
casto eiaculazioni primaverili
i primi
fiori si danno
ingravidano
insetti che
s'indorano
di polveri
seminali.
Per le
colline della mia terra
ma non i
miei
gameti.
Per tutto il
mondo il boccio
dell'emisfero
che pareva di luna eterna.
CONSIDERAZIONI
SU UN MASSO
Giallognolo
verdastro
e lunghe
piogge, chissà perché
non ti avevo
riconosciuto prima, sasso
roccia
raggiera
d'angoli cristalli odiati a scuola.
Mi sei
apparso nell'ombra del bosco, dall'umidità
affioravi
come una schiena d'animale morto.
Ti eri
frantumato senza sangue
o linfa
senza dolore
né morte o
vita.
Inerzia
peso:
l'opposto del divino.
Ti ho
accarezzato per la prima volta
sede dei
torrenti d'estate asciutti e vani.
Ti
accarezzavo. Le acque non ti avevano ancora levigato
e mi parevi
buono benché sappia della tua insensibilità.
Da te ha
proceduto la vita
e fai le due
dimore degli uomini. Mi sostenti
hai
sprizzato la scintilla.
Anche il
fuoco non t'intacca
ma il vento
ma l'acqua
ti rodono, la vegetazione ti ricopre
come una
tomba. Sosti
in silenzio.
Di te
so che sei
l'impalcatura del mondo.
So che sei
la memoria del mondo, graffita.
come una nube, era
nelle
profondità del corpo.
Seghettato
il tubo spettrale
con la sacca
dello stomaco, e il tenero cardias
dolorosamente
corroso.
Colpa di
attese, e di quelle parole
che mi sono state
scagliate contro
come cani da
morso.
(Urna di
vetro e Radiografia sono tratte da
Contemplazioni meccaniche e pneumatiche, gli
altri testi risalgono agli anni '70
e sono presenti in raccolte successive)
Quello che
so
mi ha fatto
amare il vento -
striscie
cupe e lucentezze
Dànno ancora
frastuono le campane
con il
batacchio elettrico sbattuto da
un vento a tasti,
ma il
rintocco del tram
certe volte
lo sovrasta.
Dalle dimensioni
verdi dei tronchi delle roveri -
benché
prigioni nel folto dei recinti,
fuoriescono
rami così intrecciati e torti,
così
ammuffiti, e vòlti a Nord e col sapore di piogge,
e vòlti agli
altri punti cardinali
da sembrare
fierezza e dolore insieme.
Invece
vengono ordinati a palchi
secondo la
memoria numerica degli acidi.-
Sono ventosi
questi mesi,
chiamati luglio e agosto, e anche settembre.
Al passaggio
d'agosto le nubi basse,
nelle loro circolazioni
imprevedibili
o secondo i
modelli statistici,
sembravano
staccarsi dal fogliame;
però le
pagine degli alberi
fanno
narrazioni favolose, fingono persino Dio
e le cose
dell'anima. Come le campane
quando tace
il traffico. Ma i differenti suoni dipendono
dalla rosa
dei vènti - e la scienza
è il
puntello dell'anima, e il corpo
ne è
partecipe. Dove vanno le ipotesi sul cielo
confuse
dalla birra? o quando i granuli anemòfili d'aprile
ci respirano
eccitazioni tra le labbra? Avviene anche
tra i querceti
delle cattedrali.
Poi esiste
la presenza di Dio
quando
ascolta la nostra preghiera.
Lavoro
lavoro
in stanghe
di luce, cristalli
lungo le
stazioni.
Teste scosse
sul treno. E
l'aurora
con
emissioni cromatiche, frange, finte
esplosioni
d'arancia,
nubi
sbranate.
Tra pali
neri. Alcune teste
sugli
schienali.
Ma vi sono
indimenticabili giorni nella vita
quando si
vive
a livello
biologico. Come la donna,
che
teneramente fa tremare anche i vecchi,
che
raccattano spremute ghiandole germinali.
Anche una
donna matura, un poco patita
in viso,
pallida
così
abbandonata ancora. E come è illogica allora la morte
nell'inforcatura.
I rami bianchi ora si velano.
Mi piace
se piove
lungo una strada, con un pò di sole
l'asfalto diventa
azzurro, specchia.
Ma vi sono
desideri impossibili.
Poesie passionali, mi sembra, queste di Bacchini Pier Luigi.
RispondiElimina"Tripudio" la trovo una poesia lussureggiante, come la rinascita della natura in primavera che l'autore contempla e descrive con passione.
Più lieve e meditabonda è "Considerazioni su un masso", anch'essa legata alla malinconia del tempo che tutto distrugge.
Un grido di dolore per l'esistenza che scorre e porta alla vecchiaia, alla distruzione di tutto quanto era legato alla giovinezza, ed è molto presente la figura femminile nelle sue poesie
Lussureggianti è un termine appropriato. Io che non sono avvezzo al lusso, all'abbondanza e mi accontento di molto meno, tanto che mi trovo a mio agio solo su praticelli spelacchiati di periferia, mi sento inadeguato a commentare. Sai, è qualcosa al di fuori della mia portata, e resto perplesso di fronte a tale abbondanza. Francamente in alcuni casi mi sembrano eccessivamente contorte e ricche. Ma questo non centra, sono minimalista mio malgrado.
EliminaRileggendo il mio commento, non ho potuto fare a meno di ricordare un recente pensiero cinico di Sid, che faceva riferimenti alle apparenze, se non sbaglio.
EliminaInfatti questo commentino, che ad una prima lettura superficiale potrebbe perfino sembrare carino, in realtà è una emerita cavolata che si adatterebbe perfettamente a quasi tutte le poesie postate nello sterminato web, tanto per non fare nomi e scadere di livello. Me lo devo ricopiare in bella calligrafia, è probabile che in questi giorni lo possa riciclare, tanto il futile va sempre di moda.
Dopo aver letto questi passi amletici e apoetici, torno a stimarmi con entusiasmo...
RispondiEliminaSiddharta