Nel corso degli anni ho imparato che il modo più
rapido per inchiodare di botto il funzionamento di un ufficio è quello di
scrivere "guasta" su un pezzo di carta, e appiccicarlo sulla
fotocopiatrice. Gli impiegati si avvicinano alla macchina, notano il cartello,
si sentono momentaneamente infastiditi, poi gioiscono tra sé e sé non appena si
rendono conto di poter tornare senza sensi di colpa alla loro postazione per
giocare a FreeCell e navigare in rete alla ricerca di video di incidenti
stradali girati dai russi con le loro webcam da cruscotto.
Salve. Io sono Shannon. Sono una precaria, ma non
solo, incarno il futuro del mondo del lavoro, in occidente. Certo, magari in
questo momento un posto ce lo avete, ma un giorno o l'altro sarete come me,
passerete da un lavoretto all'altro, niente assistenza medica, niente spese
dentistiche rimborsate, niente di niente, a parte il piacere di non dover
leccare culi o di non avere a che fare con degli imbecilli o di non doversi
sbattere per cose tipo l'ammorbante riunione di Taylor, Wagner & Kimura
Filter Systems che sto seguendo oggi. I padroni della TWK stanno
sistematicamente trasferendo l'azienda in Cina, e lo sanno tutti. Con cadenza
più o meno giornaliera in TWK qualcuno viene licenziato in tronco mentre io, la
dea della precarietà, mi passo con noncuranza lo smalto sulle unghie o spio
Facebook alla ricerca di foto poco lusinghiere dei miei ex compagni di liceo,
quelli più popolari.
Qui c'era una receptionist a tempo pieno, ma poi è
andata in congedo di maternità. E allora eccomi qui. A tempo determinato! Dan
Wagner (detto Danimal), comproprietario della TWK, capisce il mio atteggiamento
da chi-se-ne-sbatte, poco impegnato. Come oggi, quando mi ha convocata: «Se va
bene a tutti, la nostra giovane Shannon prenderà appunti sulla riunione di
oggi». Dan mi fa sempre l'occhiolino, cosa un po' da pervertito, ma
tecnicamente non perseguibile come molestia sessuale.
Le Tre Sarah roteano gli occhi quando Dan mi fa
entrare nella saletta. Sì, avete letto bene: Sarah del Marketing, Sarah delle
Strategie Ecommerce e Sarah dei Systems. Non fatemi eccitare. E così, quando la
riunione si trasforma invariabilmente nell'inevitabile miasma di paure e sogni
infranti, Dan finisce per dire: «Shannon, dai, tiraci un po' su di morale.
Quale è il Forse non tutti sanno che... con cui ci diverti
oggi?».
La curiosità del giorno: «Allora, Dan, quale è il
Paese del mondo in cui l'età del consenso è più bassa?»
La domanda è sufficientemente osé da assicurarsi l'ascolto
perfino delle Sarah.
«E quale Paese sarebbe, Shannon?»
«Il Vaticano. L'età del consenso è 12 anni».
A questa reagiscono pure le Sarah.
«Sul serio?»
«12?»
Tutti quanti tirano fuori i loro gadget e si buttano
selvaggiamente su Wikipedia. «Aspettate un attimo - dice Sarah Numero Due -
penso che in realtà potrebbero essere 14.»
«Benone - disse Dan - allora le tredicenni di laggiù
stanotte dormiranno certamente sonni tranquilli. Shannon, grazie per aver
portato gioia e conoscenza nel nostro universo. Phelps, sei brava.»
Lo sono.
"TEMP" DAY 2
"TEMP" DAY 3
"TEMP" DAY 4
"TEMP" DAY 5
"TEMP" DAY 6
"TEMP" DAY 7
"TEMP" DAY 8
"TEMP" DAY 9
"TEMP" DAY 10
"TEMP" DAY 11
"TEMP" DAY 12
"TEMP" DAY 13
"TEMP" DAY 14
"TEMP" DAY 15
"TEMP" DAY 16
"TEMP" DAY 17
"TEMP" DAY 18
"TEMP" DAY19
"TEMP" DAY 20
"TEMP" DAY... in ePub
DOUGLAS COUPLAND
Racconto a puntate dello scrittore
canadese in esclusiva per Metro.
Nelle prossime quattro settimane a venire
su Metro si potranno leggere le storie quotidiane di un personaggio di nome
Shannon.
“Shannon la conoscete già - la conoscono
tutti - Shannon potreste essere anche voi. È la ragazza lievemente sfigata che
lavora come precaria in tutti gli uffici in cui potete aver lavorato voi. È una
tipa divertente, ha la testa sulle spalle, e soprattutto vive nel nostro mondo
collettivo reale. Shannon vive nel 2013, e il suo mondo sta cambiando ed
evolvendosi rapidamente come il vostro.”
Leggi il seguito su Metro
Douglas Coupland
Mi sembra interessante il progetto di scrittura. Se ho ben capito è un work in progress, una storia che si sviluppa in tempo reale. Vedremo come evolve la faccenda.
RispondiEliminaDel resto non so più cosa pubblicare per tenere alto l'interesse generale. Se non mi arriva altro materiale nel giro di breve tempo, io vi avviso, sarete costretti a leggere i miei racconti e le mie poesie. E poi non dite che non vi avevo avvisato. :-))))))))))
Evvai! Non tutto il male vien per nuocere!
EliminaQuesto "esperimento" mi sembra interessante per vari motivi che, a mio parere, possono riassumersi nel suo combinare caratteristiche antiche o tradizionali e contemporanee o avveniristiche:
RispondiEliminaa) il racconto viene pubblicizzato su carta (mezzo antico) ma si trova in rete (mezzo nuovo). Mi vengono in mente le TV messe nei cinema...
b) è un racconto a puntate (un feuilleton, roba dell'800!) e non risponde alle leggi della pubblicazione su web - che preferisce il microracconto autoconclusivo (NDA: NON è la solita tiritera sul taglio web sì /no). Lo stile della scrittura appare moderno ossia forma diaristica, minimalismo, quotidianità ecc (è interessante anche il programma letterario dell'autore)
c) è gratis - sono assolutamente convinto che chi legge sul web parta dal presupposto di poter pretendere la gratuità di quanto legge.
d) si rivolge ad un pubblico di lettori, cioè di gente che già legge (si tratta di lettori di quella free press), per cui si tratta di pubblicità "mirata" ma non sono forti lettori. La scarsa, ma presente, propensione alla lettura del pubblico è bilanciata dalla diffusione del mezzo scelto come veicolo e dalla gratuità della pubblicazione.
Sarà quindi interessante vedere come va a finire...
Certo che la domanda di Shannon mi pare sottilmente perfida.
RispondiEliminaMi si accusa di commentare tutto e tutti, perdendo l'occasione di stare zitto quando non si capisce.
RispondiEliminaEcco, in questo post non ci ho capito una mazza, ma per dirlo non sono stato zitto.
Ahimè, che vizio!
Siddharta
Be'... è difficile esprimere una opinione restando zitti, nel web soprattutto dove non ci si può neppure guardare in faccia e negli occhi. Oddio, in molti casi è anche meglio;-)
EliminaE se non hai capito non è molto grave, infatti, se la tua età corrisponde a quella dichiarata saranno almeno trentanni che non metti piedi in un ufficio... ne sono cambiate di cose, hai voglia. Oggi si parla in altro modo e si hanno altri interessi. Il tatuaggio ad esempio era roba per ex galeotti e marinai, adesso invece senza si sentono nudi. Che poi non piaccia lo stile moderno dello scrittore, siamo qui proprio per questo, per leggere anche qualcosa di diverso a "Guerra e Pace" ed eventualmente discuterne, oppure tacere e anche dissentire. Tutte le opzioni sono valide, ma con cautela e sempre con il sorriso sulle labbra :-))))))))
Effettivamente ai miei tempi si andava in ufficio in giacca e cravatta.
EliminaPer rispetto verso se stessi, i colleghi ed i clienti.
Un giorno per sfottò un dipendente, d'estate, s'era presentato in calzoncini, maglietta e zoccoli da spiaggia.
Gli hoi spiegato la questione, appoggiandomi all'etica del lavoro. Rispedendolo a casa.
Deve avermi capito, perchè non si è più azzardato a ripetersi.
Sullo stile < commentizio > concordo in pieno.
Speriamo che chi ha orecchie per intendere, intenda.
Sid
Bando alle ciance e veniamo al racconto che invece a me comincia a piacere per davvero.
RispondiEliminaAttualissimo l'inizio di questa seconda parte.
"Dobbiamo lavorare fino alla tomba" prima di arrivare alla pensione e pertanto non ha più importanza il giorno della setimana!
Hanno ragione di essere pessimisti per il futuro i giovani, per la miseria.
In questa breve seconda parte sono molti gli spunti interessanti che meriterebbero una riflessione. Certo sapere quante puntate sono questo racconto aiuterebbe a farsi un'idea, o forse no, insomma anch'io non sono abituato a leggere a singhiozzo.
Il racconto termina, a quanto ho letto, il 26 novembre, quindi ha molte caratteristiche del feuilleton, davvero!
RispondiEliminaLo stile e in generale il registro mi ricorda un po', cambiando medium, il grande fratello, quasi ci fosse una telecamera sulla protagonista (o dentro di essa) che ci racconta - o ci prova a raccontare la sua realtà (a mio parere il "raccontare la realtà" è un po' una contraddizione in termini, ma magari ne parleremo via via che il racconto si snoda).
Quanto al "chi ha orecchie per intendere intenda", visto che Sid non riesce a trattenersi, mi sento in dovere di puntualizzare.
Il problema non è "capire" o "non capire". Non solo - non c'è nulla di male a dire "non ho capito".
Il problema a mio parere è dire "non seguo / non mi interessa / non ho letto / non leggerò" e subito dopo snocciolare una p(e/i)rla di saggezza (?).
Se io non capisco, quantomeno uso una forma dubitativa e mi metto in discussione, non mi atteggio ad oracolo raccontando il fatterello mio privato (poi il presuntuoso sarei io, ma vabbè).
Per esempio, in questo specifico caso, non posso dire che il racconto mi piace o no perchè è in una fase iniziale e quindi non ho sufficienti elementi per esprimermi.
Posso dire, questo sì, che lo trovo interessante anche come modo di edizione".
Il tuo commento, tanto per cambiare, invece, nulla dice del testo, ma, come al solito, parla di te...
A questo proposito, comunque, io ho visto gente in giacca e cravatta fare una fatica improba per non lavorare e questo non mi pare una gran forma di rispetto, ma sono assolutamente d'accordo con te che il rispetto verso utenza, colleghi ecc si esprima anche con un abbigliamento decoroso (evitiamo i defileè, però, eh?, su questo siamo tutti d'accordo, credo).
L'ufficio di cui parla Coupland, però, è in smantellamento e quindi è evidente che nessuno rispetta nessuno (i "capi" per primi non rispettano i sottoposti e questo ad ogni grado della scala gerarchica). A parte il fatto che non ho letto nulla circa l'abbigliamento degli impiegati, nel testo, impiegati che quindi, in teoria, potrebbero benissimo essere in giacca e cravatta o tallieur, ritengo che se vestissero in modo formale sarebbe una ulteriore presa in giro.
Ritengo, almeno.
Ma stiamo parlando di qualcosa che nel testo, al momento, non c'è. Non si parla di vestiario, quindi perchè hai fatto ricorso alla tua aneddotica personale? questo non l'ho capito...
Coupland è uno di quegli scrittori della mia valigia, non della mia biblioteca. Fa parte di un bagaglio esistenziale, insomma. Viene dove vado io. Generazione x è uscito che avevo diciassette anni. Credo di averlo letto a diciannove, scoprendo che aveva fatto centro su parecchie turbinose problematiche del sentire comuni di noi giovvvani di allora. Pure noi scrivevamo, anche se io ero defilata come un procione che tema la fregatura del pasto. Mi ci sono riconosciuta, me lo sono portato dietro, negli anni, come altri. Però il vantaggio di uno come Coupland è che poi ti scrive un romanzo come Eleanor Rigby (ogni riferimento alla canzone dei Beatles è puramente casuale). Una storia potente e mai scontata. Parla di solitudine senza piagnistei. Coltiva la profondità nella semplicità del linguaggio, trovando intimismo e colpi di scena. Un libro molto diverso dal primo che ho citato. Questo per dire che Coupland è uno scrittore in grado di sorprendere. Uno che non si ferma. Impossibile prevedere come piegherà il resto di questa storia a puntate. Poco proficuo provocare chi cerca di motivare il proprio interesse a un testo.
RispondiEliminaUna considerazione che - a mio parere - si può abbinare con l'altra, oggi qui pubblicata, relativa agli e book ed alla (non) propensione alla lettura. Il quotidiano gratuito su cui è pubblicato il romanzo è letto da milioni di persone in tutto il mondo. Non è distribuito solo in Italia, infatti, ma in altri Stati (mi pare che la sede legale sia svedese). Per esperienza - il quotidiano è in distribuzione solo nelle grandi città e quindi è più che comprensibile che non tutti lo conoscano, per questo ne parlo - posso dire che viene letto nei tempi morti dell'attesa dei mezzi pubblici (infatti viene distribuito nelle stazioni di metrò, treni, alle fermate degli autobus etc.). Fatto sta che viene letto e viene letto, credo che si possa dirlo con buona dose di sicurezza, da gente che non comprerebbe o non compra abitualmente libri nè libri di quell'autore. Insomma, se anche solo il 10% di quell'utenza lo seguisse, Coupland si troverebbe con centinaia di migliaia di lettori in più. Non solo. Chi lo legge, legge probabilmente di una situazione simile, se non identica, alla propria. Lo si dice apertamente nella premessa: Shannon è "una di noi".
RispondiEliminaTale comunanza "attira" il lettore. Insomma, una scelta editoriale tutt'altro che sprovveduta.
Giunti al 4° giorno noterei alcuni elementi: si parla di
- "delocalizzazione" (la TWK viene trasferita in Cina)
- superiorità della Cina sull'Occidente (è mr Xu che comanda, ordinando una accompagnatrice)
- estrema flessibilità richiesta, in nome del lavoro, ai lavoratori e non soltanto sul lavoro, ma fuori, nelle relazioni (Shannon acconsente a fare compagnia a Mr Xu, anche se certo non può essere paragonata ad una escort)
- lotta di tutti contro tutti nelle aziende in nome della sopravvivenza, ma senza grosse speranze di sopravvivere
- importanza dei social network (Shannon ne parla spesso, anche durante la cena)
- "liquidità" (per usare un termine di moda) delle relazioni - Shannon pare non averne di significative e/o coinvolgenti, ma non se ne duole nè se ne vanta troppo. E' piuttosto indifferente.
- falso cameratismo tra colleghi, spesso espresso con goliardia spicciola e spenta (la "giornata dei jeans")
E sicuramente ci sono altri elementi che mi sono scappati.
Adesso resta da vedere - che è poi la domanda che spinge alla lettura di ogni pubblicazione a puntate - "che cosa accadrà"; più nello specifico, che cosa accadrà tra Shannon e Xu e che influenza avrà, questo, sulla vicenda?
Una nota: come nella tradizione, è esattamente la domanda che il lettore è portato a porsi dopo le ultime righe. E' esattamente quello che Coupland vuole che ci si chieda. Collaudata, ma efficace, tecnica da feuilleton.
Mi pare un'ottima analisi la tua, caro Rubrus, di mio potrei aggiungere che questo racconto a puntate mi pare un quadro della pop art, un insieme molto attuale, e il tono ironico usato non riesce a nascondere un'ambientazione di fondo piuttosto deprimente.
EliminaInfatti e, come dice il padrone di casa, "siamo qui proprio per questo, per leggere anche qualcosa di diverso a "Guerra e Pace" ed eventualmente discuterne, oppure tacere e anche dissentire" - ovviamente l'oggetto è il romanzo. Il riferimento alla pop art mi pare centrato, per quel poco che può valere la mia opinione.
Eliminasono quella che amerebbe Coupland. Trovo che questa discussione sia sterile e allontani dall'intento di questo blog, che amo molto e trovo veramente valido. Penso che sarebbe meno disturbante che in un commento come questo inserissi un testo. Scommetto che distrarrei meno il lettore. D'altronde ci hanno addestrato ad amare format dove la polemica sterile è l'oggetto stesso del format. La sostanza non esiste. O se esiste, è pretesto narrativo. E io innesto un testo. Tiè. Questo per ricordarvi che qua sopra c'è sempre Coupland, casomai si potesse tornare al punto.
RispondiEliminaHo deciso di parlarne con Fernet. Solo che Fernet non esiste. Che poi, dire che non esiste è inesatto. Fernet ha la faccia spigolosa e l’aria dinoccolata di una delle guardie addette alla vigilanza del polo commerciale in cui lavoro. Presidia l’ingresso da un gabbiotto in vetro specchiato, fissa un monitor che fissa i cancelli in entrata e in uscita. Fernet non si chiama davvero Fernet, come si chiama non lo so. Il suo nome è scritto minuscolo nel badge che tiene appuntato sulla giacca d’ordinanza. Una volta ci ho provato a leggerlo, ma ho rischiato di diventare cieca, oltre che sorda. Con Fernet che non si chiama Fernet c’è una relazione da casello non di superficie. Ho avuto relazioni da casello di superficie quando lavoravo a Sasso Marconi, prima che spostassero l’uscita dell’autostrada. Quando è successo, queste mie relazioni di superficie si sono interrotte in modo brusco. Avevano trasferito il casello a Vado, bucando la montagna con una trivella gigantesca. Per mantenere le mie relazioni da casello avrei dovuto fare venti chilometri in più, le mie tasche non lo avrebbero sopportato. La colpa della rottura fu dell’alta velocità, in quel caso, non del mio solipsismo. Le relazioni da casello di superficie che avevo in quel periodo, comprendevano i tre casellanti che facevano i turni negli orari in cui io entravo e uscivo dall’autostrada. Dopo un anno buono sapevo che Franco era sposato, Fabiola aveva il diabete e Piero era allergico alle banconote, per questo portava sempre quegli strani guanti.
Vai avanti così... chiunque tu sia.
EliminaAdoro queste entrate, mi riconciliano con il web e mi fanno stare bene con me stesso. Rivitalizzano gli ultimi neuroni assopiti e mi allontanano da quel fastidioso sospetto di stare qui soltanto in virtù della mia faccia tosta.
Concedimi "anonima mia" però una piccola postilla per Sid e Rubrus, che non si offendano entrambi per aver cancellato alcuni commenti ilari, ma fuori tema, compreso il mio naturalmente.
Per Sid,
Tutti quelli che hanno l'account con Google ( si distinguono per la B in campo rosso o per la fotina) hanno facoltà di cancellare i propri commenti. I commenti altrui li posso cancellare soltanto io. Tranquillo;-)))
Veramente notevole anche per me.
EliminaSarebbe interessante saperne di più, che ne dici?
Per il nostro Wm: me l'avevi già detto ( ora ricordo ), ma poi l'età m'ha fatto dimenticare il tutto.
Ah, il marasma senile...
Sid
"Trovo che questa discussione sia sterile e allontani dall'intento di questo blog, che amo molto e trovo veramente valido".
EliminaPerché sterile?
Serenella,
Eliminasi riferiva ad una serie di battute/commenti che nulla avevano a che fare con il tema del post e che ho preferito cancellare... niente di che :-))))
Ah! Ho capito. Grazie Webmaster. :-))
EliminaSpunti di umanità in questa 5^ puntata. Non male le riflessioni riportate.
RispondiEliminaDa notare come Coupland lanci l'esca: prima conclude una puntata dicendoci che il magazzino sta andando a fuoco e poi, in quella successiva, anzichè parlare del magazzino e dell'incendio, parla della vita privata della protagonista. Inoltre non ci dice esattamente quale tipo di relazione c'è tra Shannon e "mr Kung fu" (e con ciò lascia passare il messaggio subliminale che Shannon non vuole dircelo ed in più sollecita la nostra curiosità), ma ci dice che è qualcosa che la protagonista non vuol rivelare e si pone in contrapposizione col rapporto con Kyle.
RispondiEliminaIn altre parole, "show, don't tell": indica, non spiega.
In stile feuilleton, qui, mi sembra. :-)
EliminaProprio quel lasciarti in sospeso a pensare come andrà.
Be', prima o poi qualche spiegazione la dovrà pur dare se vuole uscire dalla cronaca. Il racconto sembra si svolga sotto le telecamere fisse dell'ufficio, con rare eccezioni, come la scena con il cinese. Sembra una partita a scacchi, sta avanzando i pezzi per occupare il centro. Detto in termini sportivi ha un atteggiamento attendista, insomma per il momento non succede nulla di che.
EliminaNelle parti 7/8/9 Coupland ci fa capire, senza dircelo, che cosa gli interessa. Ci sono stati momenti drammatici, in ufficio, ma, mentre siamo lì lì per attenderci una scena di azione - e appunto l'autore sta disponendone tutti gli elementi - ecco che improvvisamente si salta alla parte successiva e l'azione è già successa.
RispondiEliminaIn realtà questo non è (sta dicendoci Coupland) un poliziottesco; quello che gli interessa sono i riflessi dei fatti, anche dei più eclatanti, sul personaggio.
I riflessi possono riassumersi in due parole: tutto accade - perchè non è che non accada, accade - ma tutto accade in fretta, superficialmente, senza lasciare tracce. Tutto scivola.
Come, appunto, una vita precaria che non ha il tempo di fermarsi su niente. Nè tragedie personali, nè atti terroristici, nè relazioni interpersonali. L'unica costante è la mutevole, perenne corsa degli affari. Verso dove non si sa.
avvicniandosi la conclusione si iniziano a delineare i punti di conflitto. Da un lato i rapporti lavorativi e, secondariamente, personali. Dall'altro quelli personali e, secondariamente, lavorativi. Trait d'union, la precarietà.
RispondiEliminaIl racconto di Douglas Coupland è terminato da qualche giorno e nessuno lo ha commentato, come mai?
RispondiEliminaIo devo confessare che non ero riuscita ad aprire dalla puntata 7, così per un po' non ho potuto leggere, poi, improvvisamente, tutto si è sbloccato e così ho potuto riprendere a leggere dopo aver perso i contatti con le puntate precedenti.
Beh, non so cosa dire. Non riesco a ricordarmi bene le varie vicissitudini di Shannon, però mi rimane nella mente un che di originale nella stesura, strettamente legata ai tempi attuali come dinamica e filosofia sia commerciale che di vita e qualche scena più nitida, come la fila davanti all'ospedale miserevole, contrapposto a quello lussuoso e assettico (d'animo).
Il finale finisce in pianto... credo sia la constatazione che, come tutto il resto, anche nella vita tutto è precario. Ma i sentimenti, almeno, Coupland ce li propone ancora immutati e ce lo dimostra la delusione di Shannon di fronte al comportamento di Kyle.
Guarda che ti mancano due capitoli ;-)
EliminaIl racconto si conclude con il 20° capitolo e con un lieto fine.
Ho difficoltà a leggere qualunque cosa a puntate. Tra un capitolo e l'altro dimentico la storia e devo ritornare indietro, pertanto mi sono ripromesso di leggerlo tutto in una volta dall'inizio alla fine. Poi ti farò sapere le mie impressioni.
E ti pareva che non mi ci perdevo anch'io tra un capitolo e l'altro. :-))
EliminaOra, però, è finito veramente, vero?
Bè, devo dire che dopo aver letto le ultime due puntate il mio giudizio già espresso, non cambia.
RispondiEliminaQuesti ultimi due capitoli poco aggiungono al contesto del racconto, se non che tutto va a finire a "tarallucci e vino"; però, è proprio questo finale a lieto fine, a troppo lieto fine, che mi fa pensare ad una conclusione favolistica, voluta dall'autore a dimostrazione di come questa conclusione possa essere irreale... favolistica appunto.
Mala tempora currunt.
Anche io ho trovato un po' stridente il finale rispetto alle premesse e mi sono pure io chiesto se il finale lieto volesse essere "favolistico". Poi però ho detto.. ecco, forse l'autore pensa che noi ci aspettiamo un finale mesto, cupo come il resto del racconto lascerebbe indovinare, e proprio per questo cerca di spiazzarci. Non solo. E' possibile che l'autore abbia voluto un finale lieto per dirci che, benchè questo sia il mondo di oggi, un mondo precario, ancora uno spazio per il lieto fine rimane.
RispondiEliminaOvviamente sono solo mie congetture con scarsissime prove.
E questo mi porta a rafforzare una mia convinzione: tutta la narrativa è menzogna, soprattutto quella che vuole essere verità.
Coupland ci ha narrato un sacco di episodi in forma diaristica, minimalista, quasi da reportage, ma forse con quella conclusione recupera il ruolo proprio dell'inventiva, che è il cuore della narrativa. Se uno vuol leggere possibili verità (e, anche lì, non è detto che ci riesca affatto), c'è il giornalismo, la saggistica ecc. La narrativa (anche il realismo) è il regno della fantasia. Forse Coupland vuole riaffermare questo principio.
O forse il lieto fine glie lo ha imposto l'editore per ragioni di marketing...
E, già, tutto può essere... e ognuno può trarne le conclusioni che vuole e, Coupland, forse, è proprio questo che voleva: non scontentare nessuno. :-)
Elimina