Serafino era
nato un giorno di mercato, all’angolo tra la via Romana e il vicolo dei
Ripadossi. Una giornata di fine novembre, nebbiosa, fredda, intossicata dai
rumori della strada e dalle grida degli imbonitori.
Della sua infanzia si sa poco, anzi, quasi
nulla. Ricordi sbiaditi, lontani, di pane inzuppato e acqua di fonte, di case
di pietra, di fumo e di rabbia. Pezzi di vita, di giorni spesi a fantasticare,
di notti lunghissime e senza stelle.
Il tempo poi, sembrava avercela con lui. Non
passava mai. Ore e ore a scolpire l’aria di pensieri, di colori, di figure mai
definite.
Anche se da qualche anno aveva trovato
lavoro, l’unico per cui si sentiva portato, una specie di vocazione, un dono di
natura, il solo che avesse mai ricevuto da chicchessia. Era stato assoldato
come pastore, responsabile della sopravvivenza di 14 pecore. Una carica
prestigiosa. Ma durava poco, un mese scarso e poi altra miseria, altra noia,
altre fantasie.
Quel mese però lo stordiva, lo riempiva, lo
elettrizzava, gli dava la forza di sperare e lo invogliava a pregare. Già, a
pregare. Pregava tutto l’anno perché il tempo passasse e arrivasse quel
momento, il momento di uscire finalmente all’aperto e spingere le pecore
attraverso il paese, oltre il ponte, fino ai primi contrafforti della montagna.
Allora guardava il cielo, l’acqua argentata
del fiume che attraversava la valle come un taglio di luce, salutava con un
sorriso la gente che incontrava per la via e si lasciava il grigio delle ultime
case alle spalle.
E quando, al di là di un muro di pietre,
trovava il prato verdeggiante dove le pecore avrebbero potuto pascolare, si
fermava; si appoggiava con una mano al bastone di faggio, volgeva lo sguardo
dove il sentiero curvava e rimaneva immobile e silenzioso a fissare i ciottoli
che sporgevano dal terreno come spuntoni di roccia.
Aspettava.
Aspettava che il momento arrivasse.
Così, anche se ai suoi occhi il paesaggio
era lo stesso, se l’erba, le felci, i cespugli, macchiavano l’aria di verde e
di noia, lui aspettava quel momento con l’ansia nel cuore, con i brividi
dentro, come se quell’attesa non rappresentasse solo l’aspettativa per
l’appuntamento più importante di tutta la sua vita, ma nascondesse qualcosa di
misterioso, di proibito e di peccaminoso.
Aspettava.
Finché il tempo scadeva.
E all’improvviso il respiro si appesantiva e
il viso s’infiammava. Aveva la sensazione di assistere a qualcosa di
straordinario e di sublime perché nel tempo di un batter di ciglia, al di là
del muro, una figura si materializzava sul sentiero, come un’apparizione. E nel
vederla quasi sveniva.
Doveva stropicciarsi gli occhi più volte
perché i contorni di quella visione diventassero nitidi. Allora rimaneva muto e
trasognato a fissarne le movenze, a percepire il turbamento che lo rendeva
pazzo di gioia e di commozione.
I colori diventavano sfumature iridescenti e
prendevano le fattezze di una ragazza che avanzava portando sulla testa una
fascina di rami secchi.
Indossava una veste scura, un po’ sdrucita,
una camicia azzurra e un gilè di lana cruda. Aveva i capelli castani, lunghi,
raccolti a crocchia sulla nuca, gli occhi grandi, neri, le labbra carnose. E
anche se la fatica segnava pesantemente i lineamenti del viso, la sua bellezza
lo confondeva e lo scaldava come un tizzone ardente.
Si chiamava Marta ed era la figlia del
fornaio.
Una chimera. Il sogno di tutta una vita. E
il solo pensiero gli appesantiva il cuore, lo eccitava dentro fino a togliergli
il respiro.
Lei, ingentilita da un’armoniosa tenerezza,
sembrava non volersi allontanare. Si attardava, come se aspettasse un gesto che
non arrivava, una parola, un saluto. E tutti i giorni a far la legna, a
spaccarsi le mani e la schiena, a
camminare con quel peso sulla testa tra le pietre e le buche di un sentiero
scosceso.
Non era certo che facesse quella strada per
incontrarlo, ci sperava, ci sperava tanto. Di una cosa però era sicuro: nel
guardarlo anche lei arrossiva.
Lui, Serafino, ne era pazzamente innamorato.
Da mesi, da anni. Dal primo momento che i suoi occhi si erano posati sul suo
viso.
Avrebbe anche voluto farglielo sapere,
magari dirglielo di persona, occorreva solo un briciolo di coraggio per
avvicinarla, dirle ti amo. Già, forse sarebbe bastato, ma non era mai stato
capace di farlo, non era mai andato oltre uno sguardo prolungato.
Altre volte si erano incontrati, altre volte
si erano guardati. Qualcuno giura di aver scorto un sorriso, qualcun altro un
gesto di intesa. Ma nulla di più, nemmeno una parola.
Ecco perché pregava.
Ecco perché sperava.
Sperava che le stelle e i riflessi argentati
del fiume accompagnassero il suo sogno e guidassero la mano di quel regista
sconosciuto a compiere il miracolo, a farli finalmente incontrare in un posto
appartato, magari al buio di uno scantinato, l’uno accanto all’altra, come due libri
sul ripiano di una libreria.
Già, sarebbe stato bello.
Lui, Serafino, l’avrebbe guardata e adorata,
si sarebbe beato dei suoi sorrisi, della sua dolcezza e magari, sempre che la
timidezza glielo avesse permesso, avrebbe cercato di allungare una mano per
posarle una carezza sulla guancia, per farle capire che l’amava, per offrirle
il suo cuore, per… sì, per un tempo lunghissimo, un anno intero, fino
all’arrivo del Natale, quando la mano del regista li avrebbe nuovamente
separati per farli rivivere nel mondo virtuale di un presepe.
Hai scelto Serafino in onore di Celentano? Oppure è il nome più comune tra i pastori?
RispondiEliminaE' tenero tenero questo raccontino, godibile e ben scritto.
Natale è passato quindi ti auguro Buon Anno.
Un buon anno anche a te e a tutti i coinquilini della casa.
RispondiEliminaQuanto a Serafino, no, non ha legami con Celentano e il suo film ma è il nome che più mi sembrava adatto al tipo di personaggio. Come Marta del resto. Faccio sempre molta attenzione alla ricerca dei nomi e dei cognomi perché credo che ogni personaggio riesca a rappresentare le sue caratteristiche personali proprio partendo dalla sua identità. Pensa avessi dato ai miei due personaggi i nomi di Giancarlo e Giusy.
Un caro saluto.
Bello e delicato, proprio come un tenero amore adolescenziale. L'ambientazione bucolica me lo rende ancora più gradito.
RispondiEliminaGrazie degli auguri e Buon Anno anche a te.
Grazie a te per il passaggio e per l'apprezzamento.
EliminaIl tuo tenero racconto, simbolico di una nostra tradizione centenaria e che considero molto amorevole, mi ha ricordato una poesia (un'amica l'ha èubblicata su fb), la voglio riportare perché è molto significativa:
EliminaER PRESEPIO
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa ? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto,senza ascolto.
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso ,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.
Sì Serenella, bella e sferzante per la sua triste constatazione. Il presepe dovrebbe essere una rappresentazione religiosa che, se fatto dai bambini e per i bambini, acquista il suo valore, la sua tradizione, il senso di pace e di speranza. Se invece viene fatto con gli eccessi dei grandi diventa sfarzo e subdola esibizione.
EliminaRacconto che coinvolge emotivamente, i sentimenti espressi col giusto ritmo, senza alcuna enfasi.
RispondiEliminaMolto piaciuta l'invenzione di dar voce (e anima) ai personaggi del presepe.
Grazie anche a te Salvo per la lettura e i complimenti.
EliminaQualche giorno fa, altrove, un autore ricordava questo racconto e, ricordandolo, lo ha rammentato anche a me; non c'è voluto molto perchè in effetti me lo ricordavo anche io ed è un piacere ritrovarlo qui. Buon anno.
RispondiEliminaÈ una di quelle cose che ti regalano gioia. Ti ringrazio molto e ti auguro di cuore un anno di successi.
EliminaBeh, invero geniale nella semplicità dell'impaginazione e conclusione.
RispondiEliminaDirei che ogni scrittore o poeta conservi nella propria faretra narrativa questo o quel pezzo pregiato.
Perchè non tutto quel che si scrive merita applauso.
Epperò vi sono magici momenti dove tutto sembra convergere al meglio.
E' questo il caso che reclama, più e meglio che un commento d'elogio,
il riconoscimento di uno stile accattivante e originale.
Non poco, in un panorama letterario contemporaneo invero troppo spesso deludente.
Ottima/mente.
Siddharta
Questo tuo commento mi inorgoglisce e stupisce, non tanto per i complimenti che le parole esprimono, ma per la loro provenienza, di persona, cioè, capace di formulare un parere letterario di livello.
EliminaGrazie e buon 2014.
Mooolto bellino! ha i colori e gli stupori d'una fiaba. Molto apprezzato soprattutto il velo di tristezza che accompagna l'impossibilità delle due figurine di poter decidere del loro destino proprio perché mosse da un'altra mano - quella del regista sconosciuto - di cui si ignorano le volontà.
RispondiEliminaEcco, mi piace che questo dispiacere di Serafino sia solo sfiorato, gentilmente; che resti vivo in forma di speranza, al massimo virando in un accenno di dolore, mai in rabbia.
Mi piace l'inevitabile rassegnazione di chi, pur ignorandone la logica,
si sente semplicemente impotente davanti a ciò che lo sovrasta.
Ed è in quest'ultimo punto il valore aggiunto del racconto, quello che determina, a mio avviso, il senso, naturalmente oltre all'originalità e all'educatissima scrittura, coerente col tema trattato, con cui viene pòrto al lettore.
Complimenti
Franco "Pale"
Molto gradevole, oltre alla delicata pertinenza, questo commento. In effetti tutti accettiamo con infinita pazienza lo svilupparsi della vita, degli eventi, delle nostre stesse speranze. Qui, nel racconto, c'è almeno un regista che, seppur sconosciuto, si adopera per mettere le cose al loro posto. È vero, lo fa una volta all'anno, quasi sempre con le stesse modalità. Quello che tutti noi vorremmo vedere all'opera almeno una volta, purtroppo manca da un sacco di tempo. Forse troppo. Grazie per le belle parole.
EliminaUn saluto.
Ti trovo e ti leggo quasi per caso. Piaciuto e apprezzato moltissimo come quasi tutti gli scritti che ho letto anche in passato.Un caro saluto. Fernanda
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