1. Chi era Boris
Vian?
Chiedo al “mio” libraio, che ha miriadi di “libri usati” di ogni sorta,
sistemati nei vari scomparti che corrono per diversi metri lungo il marciapiedi
di via Cesare Borgia, se ha qualcosa di Boris Vian. Scrittore russo? , mi fa.
No, francese, dico io. Ah, scusi, non l’ho mai sentito prima d’ora.
Ma chi era Boris Vian , “il disertore”, il “malato di cuore”,
“l’esistenzialista”?
Un angelo, che fece una breve corsa su questa terra, anzi un volo breve,
ma intenso, pieno di luce vivissima, nel cielo di Parigi dell’immediato
dopoguerra; o un demone trascinante che aiutava gli altri a ritrovare il
sentiero perduto dell’abbandono dionisiaco, uno che visse con la voluttà di
spensieratezza, di sgolata dissipazione, di dar libero sfogo alla fantasia in
libertà, uno che visse di beffe, provocazioni, arditezze pornografiche, che ne
fecero un protagonista indiscusso della stagione esistenzialista parigina, alla
quale non si può negare che avesse partecipato (le foto stano lì a dimostrarlo,
spesso seduto accanto a Jean Paul Sartre e Simone De Beavauir, ma anche a
Breton, Prevert, a ciascuno dei quali dedicò una canzone), pur avendone preso a
suo tempo debite distanze.
2.
Escluso
“Eppure – dirà Marcello Pagliero, che gli è stato amico, - fissandolo
negli occhi accesi da lampi imprevedibili si scopriva che il suo destino era
quello di restare escluso dal giardino d’inventata baldoria che solo lui, con
la sua tromba, sapeva scatenare”. Già, la sua tromba tascabile da cui non si
separava mai, neppure a letto. Scrive nella sua autoironica, grottesca
autobiografia: "Nel 1938 cominciai a studiare la trombetta a rosolio e
immediatamente raggiunsi il livello di Armstrong, la mollai subito per non
privare il poveretto della pagnotta: a causa dei soliti pregiudizi razziali ero
avvantaggiato, la mia pigmentazione verde offriva un effetto
piacevole". Appassionato di jazz, fu in "contatto" (tra gli
altri) con Duke Ellington e Miles Davis coi quali suonò, a Parigi. Scrisse su
diverse riviste francesi di jazz, pubblicando numerosi articoli sull'argomento
conosciuti anche in America. Dove non era mai stato. Nonostante i temi e le
ambientazioni del mondo americano si ritrovino così spesso nelle sue opere
letterarie, tutte intimamente intrecciate al suo amore per il jazz. "Sono
solo due le cose che contano: l'amore, in tutte le sue forme, con belle
ragazze, e la musica di New Orleans e di Duke Ellington. Tutto il resto è da
buttar via, perché è brutto, laido...".
3. La
tromba
Dirà Ennio Flaiano, che era andato a vederlo suonare, nell’orchestra
jazz di Claude Abbadie, al “Tabou” di Parigi: “Soltanto quando si ficcava fra le
labbra la tromba Vian diveniva di una scatenata vivacità, resistendo alle
sollecitazioni di chi si preoccupava d’invitarlo a ricordarsi del cuore.. , che
dai giorni remoti di Ville d’Avray, dov’era nato, paradiso durato lo spazio di
un mattino, ha sempre condizionato la sua giornata umana”. In effetti,
l’insorgere di un’insufficienza valvolare dell’aorta fin dalla più tenera età,
minaccerà costantemente la sua esistenza, aggravandosi col tempo. E ben presto
(nel 1947) sarà costretto a lasciare anche la sua amata tromba, che faceva
parte del personaggio, divenuto un mito, una leggenda circolante nei dintorni
di Saint Germain des Pres, dove tutti conoscevano quella sua figura longilinea,
dinoccolata (era altissimo) e il pallore del suo volto, la sua gentilezza
distratta, il suo festoso controllo, la sua distaccata allegria, la sua
incalzante timidezza. Il nitido e malinconico diagramma dello scetticismo che
ha sempre accompagnato il suo lavoro e il disamore venato di superiorità fecero
di lui una sorta di eroe moderno, così lo vedeva o lo sognava Raymond Queneau,
che gli fu amico fino alla morte. Ma chi era questo ingegnere scrittore,
solista e critico di jazz, attore e cantautore, soggettista cinematografico,
traduttore e membro del Collège de Pataphysique, commediografo giornalista,
esperto di fantascienza e di pornografia?
4.Un
poliedro dalle troppe facce
Un artista dalla vulcanica genialità e dall’attività frenetica, capace
di scrivere in meno di un anno (1946) tre romanzi, una commedia e una miriade
di articoli e alcuni pezzi di cronaca, o un dilettante di talento all’affannosa
ricerca di sensazioni inedite, uno che strizzava l’occhio alla platea, arresa
al culto del divertimento? Secondo G.A. Cibotto, Vian era una sorta di poliedro
dalle troppe facce, che si proiettano lungo le direzioni più bizzarre, - dalla
matematica al teatro, alla poesia, alla musica alla cronaca, al tradurre, al
cantare, alla regia, all’impresariato, all’oratoria, all’organizzazione, - con
un gusto della novità che sempre diventava febbre, quella febbre che era una
reazione al male che ha finito per trasformarlo in una fonte inesauribile di
energia, per elevarlo a simbolo vitalistico e imprevedibile, mentre al
contrario la sua natura e la sua struttura mentale pretendevano un ordine
scrupoloso e metodico, un rispetto geloso del meccanismo logico. Ma talora
abusava del suo talento e si faceva beffe della sua vena creativa lanciandosi
in avventure folli, come quella, d’intesa con un editore parigino squattrinato,
Jean d’Halluin, d’inventare di sana pianta qualcosa di clamoroso, che
costituirà un caso letterario. In soli dieci giorni, dal 5 al 15 agosto del
1946, Boris scrive un romanzo all’americana ambientato nella mala di New York,
carico di inusitata violenza espressiva, con una rabbiosa carica antirazzistica
e scene di sesso, alcool e sadismo, intitolato “J’rai cracher sur vos tombes
(“Andrò a sputare sulle vostre tombe”), facendo credere che lui è solo il
traduttore di uno scrittore americano di razza negra, tale Vernon Sullivan, che
per il suo stile narrativo viene accostato dalla critica ufficiale a Caldwell,
Faulkner, Miller e Cain.
5.
Processato e condannato per pornografia
Il libro suscita unanime
indignazione, provoca uno scandalo di tale portata da mettere in moto una
crociata morale e conseguente denuncia in sede giudiziaria, con l’accusa di
pornografia. Il processo si concluderà nel 1950 con una condanna dell’autore e
dell’editore a centomila franchi di ammenda. Ma grazie a tale amplificazione il
libro va a ruba, diventa un best-seller e l’incasso supera i quattro milioni di
franchi. Il nome di Boris Vian, il trombettista dell’orchestra di Abbadie,
risuona ora in tutta la Francia e anche all’estero. Finita la parentesi
giovanile e scapigliata , ma in realtà a tratti “disperata” di aver avuto –
come dice lui stesso – “il privilegio di non essere preso sul serio” da una
critica letteraria che lo giudicava un animale notturno innamorato del gesto
clamoroso, vittima di un’interna dissipazione che non perdeva mai l’occasione
per trasformare in palcoscenico, insomma una critica – secondo Cibotto – che ha
da sempre confuso la maschera con il volto autentico di Boris Vian, una critica
che non ha mai capito il complicato geroglifico delle sue carte, il suo cercare
e trovare nuovi valori, dare un senso schietto al linguaggio e alla parola
tradita, il suo recupero culturale che passa per vie assolutamente impreviste,
una critica che forse non gli ha mai perdonato d’essere stata messa alla
berlina con il romanzo di Vernon Sullivan, e che ha adottato nei suoi confronti
un’ attenzione assai distratta, una specie di rigore punitivo. Ma in Vian, al
di là della posa eccentrica della provocazione deliberata, del graffio
satirico, c’è la certezza dello scacco finale che lo esorta a voltare le spalle
a un mondo che lo respinge, a cercare altrove rare schegge di felicità,
proponendo la ricchezza della povertà, il rifiuto del compromesso, il senso
profondo e vitale dell’esistenza. Canta la bellezza del sole, della donna,
della nebbia, dei bimbi che ridono, dell’esercizio poetico, e lo fa con un
linguaggio che gli concede di rimettere in discussione tutti i valori di un
mondo che lo respinge.
6. Il
piacere del travestimento
Basta modificarle, le parole, per ottenere una realtà meno deludente,
addirittura per fondare su di esse un universo. Fonda su una sola parola due
realtà verbali incompatibili, sconvolge l’ordine del tempo, modifica le
convenzioni spaziali, s’abbandona al piacere del travestimento fino a
raggiungere il traguardo dell’astrazione, e ciò lo constatiamo in tutte le sue
opere, in particolare in quelle
teatrali, ma alla fine si sente sempre come un “pesce profondo”, sospeso ad
esplorare gli stessi fondali, quelli della certezza della morte che può arrivare
da un momento all’altro: Non vorrei crepare/nossignore nossignora/prima d’aver
assaporato/il piacere che tormenta/il gusto più intenso/non vorrei
crepare/prima di aver gustato/ il sapore della morte...
7. Uomo
contro
Lui è “uomo contro”, ma non convenzionale, non retorico,è uno che medita
sulla crisi di una società e di un costume lacerati nell’intimo dalla
corruzione e dall’ipocrisia, dai miti del consumismo, dagli incubi
dell’alienazione, è uno che anticipa le esigenze che avrebbero inquietato le
nuove generazioni, alle quali non si stanca mai di ripetere la parola “cuore”,
quel suo scordato strumento che avrebbe presto cessato di battere. E ciò lo
ritroviamo ne L’erba rossa, in cui non sembrano esserci “vie d’uscita” al di là
del suicidio, o ne nel suo capolavoro, L’écume des jours, “La schiuma dei
giorni”, in cui al di là della comicità, dell’ironia e del sarcasmo distruttivo
più apparenti, è possibile cogliere la sensazione netta di un dramma interiore,
un lirismo lucido angoscioso e disperato popolato dalle ombre della malattia, dalla
degradazione, dall’assurdità della morte, che conferiscono all’opera di Vian
quell’atmosfera difficilmente definibile, sia che si tratti di romanzi, sia che
si esaminino le raccolte poetiche (“Non vorrei crepare”) o le sue quattro opere
teatrali (“L’inquadramento per tutti”, “La merenda del generale “, “L’ultimo
dei mestieri” , “I costruttori dell’Impero”, il suo capolavoro), che hanno
tutte come motivo comune la critica feroce alle istituzioni e alle convenzioni
borghesi e una costruzione tecnica, un linguaggio, una visione lucida e
disperata che richiamano il teatro dell’assurdo di Jarry e Jonesco.
8.
L’essenziale è dare giudizi a priori
Aveva scritto di sé stesso: “Sono nato, casualmente, il dieci marzo 1920
sulla porta di una clinica ostetrica che era chiusa per uno sciopero contro il
calo delle nascite… Un prete, un sant'uomo che passava di lì, mi raccolse… e
immediatamente mi riposò: in effetti pesavo un casino!! (è da allora che soffro
della mia ben nota aspersoriofobia). Fortunatamente una lupa affamata mi prese
sotto la sua protezione e mi diede qualcosa da bere". Un linguaggio fatto
di neologismi onomatopeici e stravaganti, spesso ottenuti dalla fusione di più
parole (celebre l'esempio del "pianocktail"), che quasi sempre non ci
si aspetterebbe di trovare abbinate. Raymond Queneau ha definito La schiuma dei
giorni 'la più "spezzacuorente", commovente storia d'amore moderna
mai scritta', dotata però di una carica di surrealismo, piena di gioia di
vivere, e di musica. Lo si vede fin dalla breve premessa, in cui Vian enuncia
una specie di canone estetico ed esistenziale. “L’essenziale, nella vita, è
dare giudizi a priori su tutto. In effetti, sembra che le masse stiano sempre
dalla parte del torto, e che gli individui abbiano sempre ragione. Bisogna tuttavia
stare attenti a non dedurre nessuna regola di condotta da questa constatazione:
certe regole non hanno bisogno di essere formulate per essere eseguite”. Il
romanzo racconta un po’ tutta la vita e le passioni di Vian, dal jazz alla
buona cucina, entrano a far parte dell'opera nei modi piú inaspettati.
9-
Canzoni possibili e impossibili
Daniel Pennac definì la "schiuma dei giorni" un romanzo da
leggere più volte nel corso degli anni: a diciotto anni prevale la griglia
interpretativa della passione amorosa, a quaranta quella della critica sociale,
a sessanta quella del pessimismo e della tragedia che tutto annulla. C’ è chi
ha ravvisato in vari passaggi del romanzo lo stile “giungla” della musica di
Ellington. Autore anche di libretti d’opera come Fiesta che, musicata da Darius
Milhaud, fu rappresentata all’opera di Berlino il 3 ottobre 1958, Vian ha
lasciato qualcosa come 400 canzoni, che non soltanto ha scritto, ma ha cantato
egli stesso. La più famosa diqueste, "Le déserteur", dal testo spiccatamente
pacifista, scritta durante la guerra d'Indocina, che lo pone all’indice. Il
microsolco che aveva inciso dal titolo emblematico, Canzoni possibili e
impossibili, viene tolto di mezzo dalla circolazione commerciale. Siamo alla
fine della sua storia che, come osserva Jean Clouzet, per uno di quei tiri
della sorte di cui si dubita, ma accadono si conclude con lo stesso libro –
“Andrò a sputare sulle vostre tombe” - che gli aveva spalancato la porta della
vita pubblica e procurato qualche soldo (successivamente per campare Vian ha
dovuto fare molte traduzioni e giornalismo).
10. Un
infarto.
E la mattina del 23 giugno 1959, Boris Vian, anche se nessuno lo ha
invitato, si trova al Cinema Marbeuf in occasione della proiezione della
versione cinematografica del suo controverso romanzo J'irai cracher sur vos
tombes. Aveva già combattuto con i produttori al riguardo della loro
interpretazione del suo lavoro, denunciando pubblicamente di aver chiesto
invano la rimozione del suo nome dalla pellicola, perché le immagini non erano
aderenti allo spirito del romanzo, alla sua segreta speranza. Cinque minuti
dopo l'inizio del film, pare che sia sbottato: "Questi tizi dovrebbero
essere americani?...Sticazzi!".Un attimo dopo, colto da infarto, viene
trasportato all'ospedale, ma non c’è più niente da fare. Il suo cuore aveva
cessato di battere per sempre…
…Chi era Boris Vian ?
Un fascinoso impasto di tenerezza e di protesta, di gentilezza e
intransigenza. Un paradossale burattino tragicomico, che non appartiene a
nessuna corrente, a nessun “ismo”, che scrisse un’opera che non ha nessuna
formula semplice e fissa, nessuna analogia… Un concentrato di tenerezza e
violenza, lacrime e sorrisi, scherzo irriverente e profonda sagacia, scrive
Margherita Muratore. L’iconoclasta Boris Vian non è, in fondo, che l’anima
ancora pura e incontaminata dell’infanzia. Uno che – dirà Prevert – “giocava
alla vita/come altri giocano in borsa,/a guardialadri o a soldi,/ ma non da
baro:/da gran signore,/come la micia col pesce/nella schiuma di giorni/come
giocava di tromba/ o di crepacuore./ Ed era un bel giocatore. Ogni volta
rimandando la morte/all’indomani…”
“Solo due cose contano: l’amore, in tutte le sue forme, con ragazze
carine, e la musica di New Orleans o di Duke Ellington...”
Come l'edicolante neanche io conoscevo prima Boris Vian, poi ti ho letto, ho apprezzato e sono andata ad ascoltare su you tube la canzone "Il disertore" cantata da Ivano Fossati.
RispondiEliminaChe aggiungere se non che i tuoi articoli sono sempre illuminanti.
Grazie ancora una volta per il tuo contributo.
Il povero Prévert non ha pace senza il suo accento acuto...
RispondiEliminaLa tromba: un amico, maestro di banda musicale cittadina e provetto trombettista, mi ha confidato di tenere fluido e morbido il suono del suo strumento pulendone l'interno con latte.
Raymond Queneau andrò tra breve a riprenderlo nei < pensieri cinici quotidiani >.
La monografia in lettura è oltremodo godibile e ricca di preziose annotazioni.
Ottimo lavoro, Siddharta.
Un contributo prezioso su un autore un po' maledetto, certamente geniale, incapace di risparmiarsi. Anche io lo conoscevo per la nota canzone "il disertore". Il pezzo di Fossati è più ricco musicalmente, ma forse più retorico, mentre quello di Vian è più essenziale e diretto...
RispondiEliminaNon lo conoscevo nemmeno io, è stata una piacevole sorpresa.
RispondiEliminaMolto interessante Augusto, molto ben fatto.