Posso smettere quando voglio.
Lo ripetono
l’alcolizzato, il tossicodipendente, il malato di gioco d’azzardo, il tabagista
e, quando lo dicono, di solito è troppo tardi. Può essere una supplica, una
promessa, una preghiera. In ogni caso una menzogna.
Ma non era
il mio caso. Mi ero fermato in tempo ed era stato un po’ come lanciarsi a tutta
velocità con l’auto verso il ciglio di un burrone e arrestarsi un secondo prima
di precipitare. Magari tutto il cofano sporge ed una ruota è sospesa nel vuoto,
ma siete salvi.
Per me era
stato così.
Avevo capito
di essere arrivato al limite quando mi ero accorto che ormai non dormivo più di
quattro ore per notte ed avevo superato la soglia dei diecimila contatti… o
forse era stato Giano a superarli, ma non voglio anticipare troppo.
Vorrei fare
un passo indietro, piuttosto. Avevo perso la mia compagna ed il lavoro e, a
quarant’anni suonati, è dannatamente dura risalire sulla giostra. A
quarant’anni suonati, anzi, vorreste farne a meno perché avete già capito che i
cavalli sono di plastica e, dopo un po’, la musichetta vi dà sui nervi. So che
cosa state pensando: “Se capitasse a me reagirei diversamente”. Beh, non voglio
strapparvi troppe illusioni, ma vi auguro di non doverlo mai scoprire.
Nel mio caso
cominciò frequentando i siti di offerte di lavoro. Feci tutto quello che si fa
in questi casi. Spedii, consultai, lessi, scrissi, telefonai. Mentii sulla mia
età, nascosi il mio titolo di studi, mi dichiarai disposto a qualunque impiego
da qualunque parte. E, come accade in questi casi, non successe niente.
Naturalmente,
nel frattempo, m’iscrissi anche a quel sito. Sì, quello cui state pensando.
Probabilmente anche voi siete iscritti o magari ad uno simile. Non è escluso
che mi conosciate. Il mio nick è Giano, come avrete indovinato.
Mi portò
fortuna, devo dire, ma non nella ricerca di un lavoro. Solo che, man mano che
il tempo passava, me ne importava sempre meno. M’importava sempre di più era
essere on line, essere in contatto. Il mio monolocale solitario che, negli
ultimi tempi, era visitato solo dall’ufficiale giudiziario, era pieno di gente.
Arrivai a risparmiare sul vestiario, sul cibo, a non uscire più di casa.
Affitto, assicurazioni, tasse, poteva andare tutto al diavolo. Stava per finire
molto male.
Ma, come ho
detto, io mi fermai in tempo. Non so individuare una causa precisa; non ricordo
un fatto determinato che mi spinse a dire “basta”. Mi piace pensare ad una
grazia o, se volete, alla ruota del karma che, per una volta, aveva fatto un
mezzo giro nel verso giusto.
Fatto sta
che mi cancellai.
Ero sempre
senza un lavoro e solo come un cane, ma almeno un problema l’avevo risolto. O
almeno così credevo.
Invece i
veri problemi stavano per cominciare.
Dopo una
settimana un tale mi scrisse una mail definendomi assassino. Al posto delle “a”
aveva usato delle chiocciole, come un cattivo da fumetti. Si era firmato Gi@no.
Avrei anche potuto ridere, ma qualcosa me lo impediva. Forse una specie di
sesto senso.
Minacce,
insulti, implorazioni cominciarono a perseguitarmi ad ogni ora del giorno e
della notte. Messaggi, telefonate, mail… tutte con la stessa accusa – avevo
ucciso Giano – e tutte con la stessa richiesta – Giano doveva tornare. Sapevo
che una volta che si sono immessi i propri dati dalla rete, li si può
recuperare. Rivivere, in un certo senso.
Ma io tenni duro.
Avevo
scoperto che Gi@no non ero io. Era un tale che, nella rete, era capace di
qualunque cosa. E forse anche nella vita reale. Non era il caso che tornasse o,
per meglio dire, non era il caso che io tornassi ad essere lui. E i suoi amici
potevano andare al diavolo. Con chiocciola o senza.
Il mio
persecutore rincarò la dose. Conti correnti bloccati, multe addebitate, virus
nel computer. E, naturalmente, centinaia e centinaia di mail e di messaggi.
Alla fine,
mi rivolsi alla polizia postale.
In fondo,
era un banale caso di stalking e, seppure un po’ particolare, un furto
d’identità.
Dopo aver
sporto la denuncia tornai a casa, accesi il computer e attesi le mail di Gi@no
con un senso di sfida.Avanti, bello – mi dissi – vediamo che cosa sai fare.
Scoprii
presto che ci sapeva fare e sul serio.
Dopo un
mese, l’agente che seguiva le indagini mi fece chiamare “Ce ne sono pochi così
bravi – mi disse – non abbiamo ancora capito come faccia, ma sembra che tutte
le mail, le telefonate, i messaggi, partano dal suo computer”. Mi piantò in
faccia due occhi indagatori e io dovetti resistere a due impulsi. Il primo era
chiamare un avvocato per difendermi da un’accusa di simulazione di reato. Il
secondo era mettermi a gridare lo slogan del paranoico “Mi deve credere,
dottore!”.
Arrivai nel
mio monolocale e mi abbattei sul letto, resistendo alla tentazione di guardare
il cellulare dove, nel frattempo, mi era giunta una mezza dozzina di messaggi.
Non avevo voglia di scoprire di chi.
Presi le
pagine gialle chiedendomi se avrei trovato una pagina dedicata alla voce
“psichiatri”.
Il
telefonino squillò facendomi sobbalzare ed il volume cadde a terra finendo
sotto il letto quasi si vergognasse.
Ricordo di
essere rimasto per un minuto a fissare il vuoto, ma penso che non sia facile
per nessuno affrontare la prova della propria sanità mentale.
Alla fine,
però, lessi il messaggio
Non te l@
devi prendere con me. Sei tu la c@usa di tutto. Sei tu che h@i deciso di f@rmi
fuori...
Presi il
cellulare e lo scagliai contro il muro, poi mi sedetti sul bordo del letto,
reggendomi la testa tra le mani e così potei vedere il volantino che era uscito
dal tomo.
Reclamizzava
un software: total eraser.
Secondo il
programmatore era in grado di cancellare non solo virus e bug, ma – e in modo definitivo
– tutte le tracce delle navigazioni, anche quelle che i titolari dei social
network conservano nei loro archivi pure dopo la cancellazione degli iscritti.
Esisteva persino un file (una specie di sberleffo, suppongo) che, nel momento
in cui si lanciava il total eraser, simulava il suicidio dell’avatar.
Beh, adesso
eccomi qui.
Ho inserito
la chiavetta col programma nel computer al quale ho collegato anche il
cellulare. L’icona che mi chiede se voglio avviarlo sta lampeggiando, ma io
esito. Intanto, ho scritto queste righe, rigorosamente su carta.
Ora ho
terminato e devo solo cliccare su “yes”. Posso farlo. Posso smettere quando
voglio.
“Tentato
suicidio vero?”
“Perché?”
“Hai letto
che cosa c’è scritto sul foglio che ha in mano?”
“No e credo
che neanche tu avresti dovuto farlo”.
“Beh,
comunque, adesso che gli abbiamo salvato la pelle, faremo meglio a dire a
quelli del reparto di starci attenti. Magari ci riprova… bah, fortuna che per
noi del pronto soccorso finisce qui… allora amico, contento di essere di nuovo
tra noi? Che cosa puoi dirci di bello?”.
L’uomo sulla
barella aprì lentamente gli occhi.
"S@lve"
disse.
Angosciante.
RispondiEliminaSarà questo il nostro avvenire? Rimanere stritolati nelle spire del web. :-)
avvenire... ahimè penso che sia già presente, almeno in parte. Se in rete si legge qualche notizia sugli hikkikomori si rimane stupefatti (almeno, quelli di una certa età).
EliminaOggi nuove droghe condizionano masse di disperati: ludoteche, giochi di sorte statuali, elettronica di consumo...
RispondiEliminaChi naviga in internet conosce il vocabolario del futuro, ma deve lottare strenuamente contro la dipendenza da web.
Non v'è alcuno che in misura maggiore o minore non ne sia affetto.
Un mondo virtuale tentacolare ed immenso che si impadronisce della ragione, schiavizzandola.
Il racconto in lettura sembra procedere per assurdi e paradossi, ma ben descrive il mondo tecnologico informatico che ci circonda e ci avvince.
Ore ed ore passate al computer, in solitaria frenetica interazione, stregati dalla video-audio-tastiera.
Nel bisogno ansioso e visionario di un dialogo in solitudine con spersonalizzati fantasmi incorporei.
Col risultato concreto in un prossimo futuro di condizionamenti e alterazioni psicotiche da indigestioni mediatiche.
Ottimo racconto che suona da campanello d'allarme per tutti noi...
Futura/mente, Siddharta.
Sei un grande Sid!
EliminaMolti dei tuoi commenti andrebbero incorniciati. Condivido totalmente quanto hai detto. :-)
Non esagerare, Franco.
EliminaIl mio forse raccoglie solo il pensiero di altri.
Sid
Caro Sid, si parlava prima di "chicche", e penso che, dovendo scegliere tra i tanti insegnamenti dei classici, il più prezioso sia l'invito alla aurea mediocritas in ogni campo (in questo caso, quello della tecnologia). Più passano gli anni e più mi convinco della pericolosità dell'eccesso in ogni sua manifestazione.
EliminaInfatti, come si conviene: l'uomo nasce incendiario e muore pompiere...
EliminaForse necessità più che una virtù alla nostra età!
Sid